La presenza longobarda nel territorio piacentino

tratto da “La Torre” n. 12/2004

Solido dell’imperatore romano Avito (395-457 circa). Dopo essere stato deposto dal generale barbaro Ricimero divenne per un breve periodo vescovo di Piaenza.

L’11 novembre scorso, presso la Villa Raggio, si è svolto il secondo incontro sulla storia dell’evangelizzazione locale. In questa occasione monsignor Ponzini ha affrontato il tema della presenza longobarda nel territorio piacentino. La stesura del presente testo è stata curata dalla signora Lidia Schiavi.

Partendo dal contesto storico del periodo tardoantico, il relatore ci ha guidato nella “lettura” dei segni che i popoli, conquistatori o alleati, hanno lasciato nel nostro territorio. Non sono mancate curiosità e occasioni di riflessione circa l’attualizzazione di antichi avvenimenti. Una curiosità è stata ad esempio il fatto che Piacenza nel lontano 456 d.C. ebbe, seppur per un breve periodo, un vescovo imperatore. Si tratta di Eparchio Avito, che fu eletto imperatore il 10 luglio del 455 e poi sconfitto dal generale svevo Ricimero nella battaglia di Piacenza il 7 ottobre 456. Avito, decaduto come imperatore, divenne vescovo della città. La causa della sua morte, avvenuta il primo febbraio del 457 d.C., rimase avvolta nel mistero.

Motivi di riflessione hanno riguardato il confronto delle antiche invasioni di popoli provenienti dal Nord dell’Europa con le attuali migrazioni di stranieri nei nostri paesi, ove però spesso gli abitanti che si reputano civilizzati stanno subendo un processo di decadimento dei propri valori etici e morali nonché delle proprie tradizioni. Il V secolo fu caratterizzato dalle invasioni barbariche (popoli provenienti dall’Europa settentrionale) che, provocando la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (avvenuta nel 472), favorirono la nascita di nuovi regni.

Il mausoleo di Teorico a Ravenna. Fu costruito verso il 520 dal re degli Ostrogoti Teodorico il Grande come sua futura tomba.

L’Italia nel 488 d.C. subì l’invasione degli Ostrogoti capeggiati dal loro re Teodorico. La dominazione gotica durò vari decenni ma, il fallimento della politica di Teodorico – che cercò di garantire una pacifica convivenza tra il suo popolo (di religione ariana) ed i Romani (cattolici) – permise all’imperatore Giustiniano di ristabilire in Italia, dopo una lunga guerra, l’autorità di Bisanzio (Impero Romano d’Oriente).

Il relatore ha spiegato che Piacenza, per la sua posizione territoriale strategica attraversata da importanti vie consolari, fu all’epoca un caposaldo dell’Impero d’Oriente ed i militari di Totila (famoso re dei Goti), riuscirono a conquistare il territorio solo nel 546 dopo estenuanti combattimenti distruggendo con il fuoco una città già ridotta in condizioni indicibili dalla fame che arrivò anche al cannibalismo. Dovettero passare alcuni anni prima che i Bizantini riprendessero il potere.

I Bizantini lasciarono il segno della loro presenza nella tradizione di devozione ai loro santi. In proposito, monsignor Ponzini ha ricordato la provenienza orientale di molti dei santi venerati nei nostri territori: Sant’Apollonia proveniva da Alessandria d’Egitto, Sant’Antonio abate dall’Egitto, Santa Felicita proveniva da Cartagine, Santa Lucia da Siracusa e Sant’Agata era di Catania.

L’Italia liberata dagli ultimi Ostrogoti subì, dal 568, l’invasione dei Longobardi: popolazioni germaniche alle quali si unirono anche Bulgari, Sassoni, Bavari, Sarmati che al comando del loro re Alboino si infiltrarono, attraverso i passi alpini, dal nord dell’Italia verso sud. Gli invasori, dopo un lungo assedio, si impadronirono di Pavia che divenne loro capitale, occuparono tutta la Pianura Padana e quindi espansero il loro dominio nel Meridione attraverso la fondazione dei ducati di Spoleto e Benevento.

L’imperatore d’oriente Giustiniano, mosaico nella chiesa di San Vitale a Ravenna.

Il piano difensivo attuato dai Bizantini, rese difficile per gli invasori la conquista di Piacenza, avvenuta nel 570. A tal fine i Longobardi dovettero seguire un tortuoso percorso tra i monti passando da Pavia e Bobbio evitando le strade consolari che, ospitando i presidi di difesa dei bizantini (principalmente torri nelle quali i militari oltre a difendere il territorio potevano comunicare attraverso segnalazioni, con fumo o torce, le guarnigioni alleate), erano difficilmente superabili. I nuovi invasori, avevano tradizioni totalmente diverse dalle popolazioni che andavano conquistando. Erano pagani o ariani (cioè cristiani non cattolici che riconoscevano in Gesù solo un profeta); occorrerà arrivare verso la fine del settimo secolo per vedere la pressoché completa conversione al cattolicesimo.

Il relatore ci ha informato che numerosi indizi lasciati dai Longobardi sono da ricercarsi nella parole della nostra lingua, nei luoghi, e principalmente nelle dedicazioni delle chiese. I termini: arraffare, bara, scherzo, zattera, braida, sono esempi di parole di origine longobarda. Inoltre, importanti territori longobardi furono: Bardi, Carpaneto, San Giorgio, San Martino al Nure, Muradolo, Polignano, San Colombano di Muradello e tutta la zona di Pontenure (territorio ubicato sulla via Emilia importantissima via di comunicazione).

La situazione dell’Italia dopo l’invasione dei Longobardi che guidati dal loro e Alboino nel 568 invasero la penisola.

Gli invasori conquistarono man mano il territorio occupando le torri bizantine ed affidando alla protezione dei propri santi le torri stesse. La dedicazione seguì prevalentemente il criterio (già attuato dai Bizantini) di affidarsi al patrono del luogo da cui proveniva la guarnigione, stavolta inviata dai longobardi, a guardia del presidio conquistato. Polignano ospitò a quel tempo una torre a guardia del Po che venne dedicata a San Donato perché la guarnigione ivi installata era di origini aretine. Ancora oggi Polignano ed Arezzo hanno in San Donato lo stesso patrono. Analogamente a guardia della torre di Carpaneto i Longobardi inviarono una guarnigione di Bergamo, così Carpaneto e Bergamo hanno in San Fermo (grande guerriero che fermava i nemici), lo stesso protettore.

Santi tipici longobardi sono inoltre Santa Giustina e Sant’Eufemia, ma il santo più venerato fu San Giorgio. Le torri dedicate al guerriero divenuto santo sono state individuate negli insediamenti di maggior prestigio e, nella maggior parte dei casi, i Longobardi non fecero che riconfermare a San Giorgio le torri già dedicate allo stesso santo dai Bizantini. In proposito sono stati ricordati questi aspetti relativamente ai paesi di San Giorgio piacentino e San Giorgio di Vigolo Marchese che ospitarono torri bizantine divenute successivamente insediamenti longobardi.

Particolare della Partenza della coppia reale per la caccia, 1445 circa, Cappella di Teodolinda, Duomo di Monza. Grazie ai suoi rapporti amichevoli con papa Gregorio Magno, la regina Teodolinda, moglie del re Rotari, dal 589 al 6161, fu fondamentale per la conversione dei Longobardi dall’arianesimo al cristianesimo.

Con la conversione totale dei Longobardi al cattolicesimo, varie chiese del territorio piacentino furono dedicate anche a San Martino, tra le quali va ricordata anche la chiesa posta al centro di Piacenza, punto di incontro tra il decumano e il cardine. A Pontenure, fino ad alcuni anni fa, pochi metri dopo l’incrocio semaforico verso Fiorenzuola erano visibili i resti di un insediamento chiamato San Martino presso il quale in epoca longobarda presumibilmente sorgeva una chiesa.

Altro santo molto venerato dai Longobardi fu San Michele Arcangelo, l’iconografia lo raffigura con la spada e con la bilancia: la prima a difesa delle torri, la seconda dei cimiteri (la bilancia doveva servire per pesare le opere dei morti: le opere buone su un piatto e le cattive sull’altro).

Secondo la leggenda San Michele (che è molto affine al dio Odino, divinità celtica) fu invocato dal generale Grimoaldo che vinse, in tal modo, una battaglia contro i bizantini e fu incoronato re a Pavia. Torri di guardia dedicate a San Michele furono costruite in località San Michele di Sette Sorelle e San Michele di Muradolo. Un tempo anche Muradolo fu attraversato dalla importante via Postumia, la traiettoria di alcuni tratti di questa strada, infatti, dipendeva dallo spostamento (dovuto ad erosioni, allagamenti) dell’alveo del Po.

Studi archeologici hanno dimostrato che i Longobardi, a differenza di altri invasori mantennero ben distinti i loro cimiteri da quelli dei popoli conquistati. Il luogo destinato doveva essere caratterizzato da un paesaggio particolare che richiamasse l’idea di un letto con la sua sponda ad esempio la presenza di un monte o di una collina e di una distesa piana (esempio un prato) in cui i morti erano sepolti rivolti verso Pavia. Il luogo di sepoltura era individuato da una pertica sulla quale veniva posta una colomba rivolta verso la capitale longobarda. Montanaro e San Michele di Morfasso furono tipici luoghi cimiteriali longobardi.

Condividi sui tuoi social