Giovanni ed Elvira, due “Santi” nascosti (e Pontenuresi)
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Giovanni ed Elvira, due "Santi" nascosti (e Pontenuresi)
Dio chiama tutti i cristiani ad essere santi. Ma "santi", come? Non "santi da calendario", ma persone che trovano tempo per la preghiera e che mostrano amore e cura per gli altri nei gesti più semplici e quotidiani. Lo ha spiegato bene papa Francesco nel suo recente documento dedicato alla santità, l’Esortazione apostolica Gaudete et Exsultate. Ha scritto il Pontefice: «Non avere paura della santità. Non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario… non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia».
La santità, infatti, è una strada concreta da percorrere, non un modello irraggiungibile da ammirare o imitare, è un richiamo alla gioia, che dovrebbe contraddistinguere l’essere cristiani. Quando pensiamo ai santi, «non pensiamo solo a quelli già beatificati o canonizzati» afferma ancora il Papa. «Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio… nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità "della porta accanto", di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio».
In questo giorno di grande festa per la Chiesa ancora pellegrina sulla terra, che celebra lieta la memoria di coloro della cui compagnia esulta il Cielo, vogliamo ricordare, grazie ad un articolo apparso sul numero di maggio del 1982 della nostra rivista parrocchiale "La Torre", due "santi nascosti", ossia due dei numerosi santi senza nome che sono vissuti nel nostro paese spendendo con semplicità tutta la loro vita nell'amore di Dio e nel servizio del prossimo. Giovanni ed Elvira sono esempi concreti di quella santità umile e nascosta della vita di ogni giorno vissuta con fedeltà al Vangelo. Buona lettura, per chi vorrà!
Giovanni Mazzoni
Come aveva tanto desiderato, morì in chiesa durante la «Messa grande» delle ore 11, nel momento più sacro e solenne. Era la domenica 19 giugno del 1927, la domenica successiva alla grande festa eucaristica del Corpus Domini.
Il chierichetto aveva appena suonato il campanello che concludeva l’elevazione. Lui, che era in ginocchio, mentre si alza allarga le braccia, guarda in alto, verso il cielo, e muore. Già da molti anni la gente di Pontenure lo riteneva e lo chiamava "Mazzoni, il Santo". Non era questo un giudizio pittoresco, ma la conferma popolare, seria e rispettosa, di una vita autenticamente cristiana, di una devozione radicata e vissuta e di una fede straordinaria. Non era un bigotto. Era molto umile e si sentiva indegno dell'immensa grazia della Comunione eucaristica, che non osava concedersi con frequenza, pur essendo assiduo al confessionale.
Passava in ginocchio, senza scomporsi, intere ore in adorazione del Santissimo, sostenuto da una non comune capacità contemplativa. Ancora da vivo la gente chiedeva la sua preghiera, riconoscendogli una profonda unione con Dio. Pregava molto e volentieri per chiunque ne avesse bisogno, con sincera e sofferta solidarietà. Uomo di preghiera, ma non solo in chiesa. Senza alcuna ostentazione, anche in mezzo ai campi sapeva mettersi in ginocchio e pregare al suono dell'Angelus e dell'Ave Maria, gesti semplici ma capaci di congiungere il cielo con la terra, elevando il lavoro e la vita ad un significato divino.
Questa sapienza così ispirata e profetica nasceva solo e soltanto grazie al miracolo della fede e ai doni dello Spirito. Era analfabeta, contadino bracciante ai tempi duri, quando si lavorava dall'alba al tramonto per un salario molto esiguo. Sposato con tre figlie, rimarrà vedovo. Pur essendo povero, aiutava chi era nel bisogno e si interessava alla situazione degli indigenti, ai quali venivano consegnati ogni martedì dalla Parrocchia «i buoni di S. Antonio» che servivano per ritirare gratuitamente generi alimentari.
Amava la Parrocchia e se ne sentiva responsabile: fu incaricato per la distribuzione della buona stampa, guidava le processioni, si rendeva disponibile a svolgere i servizi più umili e fastidiosi. Avvenuto un furto sacrilego, manifestò di essere pronto a passare le notti in chiesa, qualora fosse stato ritenuto utile e opportuno dai superiori per difendere il tempio.
Non permetteva il pettegolezzo o la maldicenza, «mi fanno male le orecchie!» era la frase con la quale bloccava lo sviluppo di qualunque tipo di mormorazione. Con lui diventava naturale e interessante parlare dell'esperienza di fede e di problemi religiosi. Si sottoponeva a penitenze volontarie e quando veniva mortificato ringraziava.
Il suo funerale raccolse attorno alla sua bara tutti i pontenuresi e fu portato a spalla da un estremo all’altro del paese. La sua tomba fu meta e speranza di non pochi compaesani, che, ritenendolo veramente santo, ricorrevano alla sua intercessione per ottenere grazie. Così lo ricorda la lapida posta dalla famiglia e dal paese nel luogo ove riposa: "Giovanni Mazzoni - umile di nascita nullo di fortuna semplice di mente - sorse grande nella stima dei compaesani per generosità di cuore saldezza di vita nobiltà di fede - morì in chiesa nell'amplesso di Dio - affettuosamente pianto dalle figlie dai parenti dagli amici - ritenuto da tutti come un Santo".
Elvira Finetti
L'11 aprile 1982, Pasqua di Resurrezione, veniva annunciata la morte di Elvira Finetti ved. Pagani; la partecipazione alle sue esequie della gente che da tempo seguiva le alterne vicende della sua malattia, dopo la triste notizia, fu unanime. Gran folla, giacché tutto il paese conosceva le virtù e le benemerenze di questa madre di otto figli, «grande nell’amore e nella dedizione», che giaceva in un letto, divenuto «altare di quotidiani sacrifici».
Le madri, e questa certamente lo è stata, hanno una collocazione particolare nel cuore dei figli e di quanti ancora sentono una doverosa riconoscenza per chi, pur nel nascondimento e nell’offerta della vita per gli altri, accetta il dono, non comune, di una esistenza tutta spesa nel lavoro, nella rinuncia e nella preghiera. E la signora Elvira è stata senza dubbio una grande ed amata madre, prima di giungere lassù, in cielo, ove certamente ha raggiunto il premio assegnato da Dio alle «vergini prudenti».
La sua «croce quotidiana» ha alimentato la lampada viva, perenne delle virtù; le sue sofferenze della carne, sono state un calvario che l’ha condotta alla sua Risurrezione; e questa è avvenuta proprio nello stesso giorno in cui si rievocava la vittoria pasquale del Cristo che «fu redenzione dei mali del mondo». Era la prima alle funzioni, un modello di volontà, di abnegazione e di partecipazione alle iniziative parrocchiali.
Era sempre in chiesa, specialmente la domenica, quando nel vigore delle forze non mancava mai alla prima messa, vicina allo strumento musicale, che cantava, pregava e si nutriva di Cristo che a tutti ed a lei diceva «Beati gli invitati alla Cena del Signore»; ora essa certamente è nel Regno del Padre a cogliere il premio di una esistenza lunga, generosa, laboriosa, santa. L’infermità non l’ha vinta; l’ha accettata con un abbandono al divino volere; ed è stata una malattia lunga, un’esperienza sofferta.
È difficile ripercorrere un cammino così intessuto nell'amore per la famiglia, piccola chiesa domestica, per i figli, per il marito che l’ha preceduta; essa ha avuto tanti talenti e tutti lodevolmente messi a profitto senza incertezze e senza viltà. Modello di fede, di servizio e di carità, di una esistenza generosa e feconda.
a cura di Luca T.
L’umiltà e il sorriso sono l’ingrediente dei santi del quotidiano