Pontestorie: 29 agosto 1927, una tragedia sfiorata e la Madonna della Guardia
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
di Luca T. – 04 Settembre 2025
A Napoli forse direbbero: “avuta la grazia, gabbato lo santo”. E in effetti la memoria degli uomini tende ad essere assai particolare: stenta a dimenticarsi dei torti subiti, così come a ricordarsi delle grazie ricevute. Tuttavia, la storia non è fallace come gli esseri umani e perciò, come un custode geloso e attento, ci presenta certi avvenimenti che restano impressi in modo indelebile nella memoria di una comunità. Ne è un esempio come il tragico evento, dalle conseguenze potenzialmente devastanti, che quasi cento anni fa, e per la precisione il 29 agosto 1927, sconvolse la tranquilla vita del nostro paese in un caldo e assolato pomeriggio di fine estate.
Come è noto, negli anni della Grande Guerra, il nostro Comune si trovò ad ospitare presso l’edificio delle scuole elementari del capoluogo una batteria del 21° Reggimento artiglieria da campagna. Verso la fine del conflitto, quando maggiore era lo sforzo di mobilitazione industriale della Nazione, a Pontenure venne installato uno stabilimento ausiliario per la produzione di proietti d’artiglieria. Tale stabilimento, a 250 metri di distanza dal quale sorgeva una casermetta dove alloggiavano i soldati incaricati della sua custodia, era ubicato presso un campo posto nelle vicinanze dell’attuale complesso industriale Fuochi Milanesi, in località Fontana Piccola, una posizione assai felice data la vicinanza della linea ferroviaria e di un vicino canale.
Nel dopoguerra la polveriera venne affidata in gestione dall’Amministrazione militare alla ditta Orio e Fincati di Piacenza, che la trasformò in un laboratorio adibito all’estrazione dell’esplosivo ricavato dai proiettili d’artiglieria rimasti inutilizzati nei magazzini del Regio Esercito (e non soltanto) a causa della conclusione del conflitto. Per ottenere la preziosa polvere nera, i proiettili – dopo essere stati disinnescati in apposite celle blindate da operai qualificati ˗ erano irrorati da altri operai con potenti getti di acqua bollente (portata grazie a potenti caldaie a 80° di temperatura), in modo tale che il vapore acqueo facilitasse lo scarico dell’esplosivo. La polvere così ottenuta, che era raccolta in due grandi vasche di lamiera zincata dalla capacità di due metri cubi ciascuna, veniva infatti utilizzata per la produzione di concimi chimici da utilizzare per usi agricoli, mentre i bossoli d’ottone dei proiettili venivano fusi. A lavorare presso lo stabilimento, che in media riusciva a “vuotare” un migliaio di bossoli al giorno, erano dai cinquanta agli ottanta operai al giorno.
L’esplosione. Il calendario segnava la data del 29 agosto 1927, quinto anno dell’Era fascista. Erano le ore 17.30 di un qualsiasi giorno di fine estate, quando la quiete della campagna pontenurese venne scossa da un violentissimo boato. Cosa era avvenuto? Il lavoro era ormai finito presso lo stabilimento posto alle porte del paese, quando da uno dei vasconi in cui era depositato l’esplosivo iniziò a sprigionarsi un’esile colonna di fumo. Il fatto non suscitò particolare preoccupazione nel custode addetto alla sorveglianza, perché di solito era sufficiente riversare qualche secchio d’acqua per spegnere il principio di combustione spontanea. Tutti i tentativi di spegnere le fiamme risultarono però vani, anche quelli operati dai soldati del distaccamento posto a custodia del laboratorio che nel frattempo erano accorsi sul posto, e l’incendio si estese fino alla tettoia sotto cui erano collocate le caldaie. Potentissima fu la conflagrazione che si scatenò quando le due vasche, piene per tre quarti della loro capacità di esplosivo (nitrato di ammonio e tritolo), alla fine saltarono in aria. Al loro posto non rimase altro che un’enorme buca di circa 20 metri di diametro.
La Provvidenza volle che il capo operaio e custode, Giovanni Dalzotto, e il sergente Attilio D’Antino, comandante del presidio di vigilanza, che si erano attardati sul posto nel tentativo di salvare i registri e i libri contabili, fossero protetti da una baracca in legno che si trovava nel luogo dello scoppio, e questo li salvò probabilmente da morte certa. Insieme a loro rimasero feriti anche una decina di militari che erano intervenuti sul luogo del disastro, nessuno dei quali fortunatamente in modo troppo grave. I feriti, la maggior parte dei quali riportò solo contusioni, vennero portati in paese presso la farmacia Bertuzzi, dove furono medicati con prontezza dal medico condotto dott. Isacco Del Val, dal farmacista e da un gruppo di signore, tra le quali la crocerossina Rosa Porta, infermiera decorata della Croce Rossa famosa per aver issato la bandiera italiana sul Castello del Buon Consiglio quando Trento era stata liberata nel 1918.
I danni. Gravissime avrebbero potuto essere le conseguenze del fatto, specie se le fiamme avessero raggiunto il deposito di munizioni collocato vicino alla linea ferroviaria dove si trovavano ancora un gran numero di proiettili da 203 mm di provenienza britannica che non erano stati ancora “scaricati”. Il boato e gli effetti dell’esplosione, assicura una cronaca del tempo del quotidiano “La Scure”, vennero avvertite anche a San Lazzaro e alle Mose. Assai gravi furono i danni patiti a Pontenure. Numerose schegge o frammenti di granata raggiunsero il paese: uno cadde sul tetto della stazione ferroviaria, uno raggiunse il podere Miracolo, un terzo il podere Giarona, un altro piombò sulle case di via XXVIII Ottobre, attuale via Moschini, e uno cadde su un pagliaio di una vicina cascina mandandolo in fumo. A causa della violenza dello scoppio molte case vennero scoperchiate, si registrarono lesioni anche strutturali ai muri, la rottura di imposte ed infissi; i vetri delle case di tutto il paese andarono in frantumi.
Gravi danni riportò il vicino stabilimento Arda Nure (nel dopoguerra vi si stabilì la ditta Siderpighi), che sorgeva proprio accanto al luogo dello scoppio, un complesso di una dozzina di edifici per la lavorazione del pomodoro (poi trasformato durante l’occupazione tedesca in impianto per la lavorazione della canna da zucchero e la produzione di alcool etilico) che era stata costruito nel 1923 da un cittadino elvetico, certo commendator Biaggi. Anche i muri di Villa Raggio rimasero crepati, ci informano puntualmente le cronache dei quotidiani di quei giorni. Tutta la popolazione in preda all’angoscia fuggì in massa verso il Nure, ma fortunatamente non si registrò nessuna vittima.
Atti d’eroismo. Le conseguenze avrebbero però potuto essere di gran lunga più disastrose senza il provvidenziale intervento del brigadiere a piedi Marco Billi, comandante della stazione dei Regi Carabinieri di Pontenure, che era accorso sul posto appena udito lo scoppio assieme al podestà di Pontenure, generale Guido Mori. Il brigadiere Billi, con grande coraggio, spinse lontano dal luogo dell’esplosione altri tre carrelli carichi di proiettili non ancora disinnescati, impedendo che l’incendio sviluppatosi nel frattempo si estendesse al contiguo deposito di munizioni. Premio per tale atto fu un encomio solenne del comando del Corpo d’armata di Milano per il coraggio e l’abnegazione dimostrati. Una medaglia di Bronzo al Valor Militare fu invece assegnata al sergente Attilio D’Antino che – in qualità di comandante del distaccamento di soldati posti a guardia del deposito – si era prodigato nel tentativo di evitare l’esplosione ed era rimasto ferito non gravemente.
Polemiche e controversie giudiziarie. Come si può senz’altro immaginare, a un evento così drammatico seguì ovviamente una lunga scia di polemiche e contese nelle aule giudiziarie. La ditta Orio e Fincati non ritenne di essere responsabile dell’esplosione e si rifiutò pertanto di provvedere al pagamento dei danni, costringendo l’Amministrazione comunale di Pontenure a rivolgersi al Tribunale di Piacenza per poter ottenere il risarcimento dovuto. Nei mesi successivi, comunque, le insistenze della popolazione presso le autorità competenti valsero ad ottenere il trasferimento del deposito in altra località, liberando così il paese da un potenziale pericolo che avrebbe potuto causare altri danni e forse vittime durante la guerra che sarebbe di lì poco scoppiata, come accadde a Piacenza, con le violente esplosioni della Pertite (8 agosto 1940) che causarono in tutto ben 47 morti e circa 500 feriti.
L’intercessione della Madonna della Guardia. Tornando all’esplosione del 29 agosto 1927, ricorreva in quel giorno la festa della Madonna della Guardia e gli abitanti di Pontenure vollero attribuire la loro salvezza alla miracolosa protezione della Vergine. Poco dopo l’esplosione, l’avvocato Edilio Raggio, fratello di Armando junior, decise di donare alla Parrocchia di Pontenure una statua della Madonna della Guardia che venne subito collocata in chiesa, in una nicchia realizzata sulla parete del transetto destro, che ospita la cappella della Madonna del Rosario. Da allora, per molti anni, su iniziativa del parroco del tempo, monsignor Giuseppe Cardinali, la memoria di questo giorno veniva onorata con una santa messa, preceduta – come era allora consuetudine – da un’apposita novena di preparazione. Al termine della funzione, la statua veniva portata con una solenne processione lungo la via Emilia fino al luogo dell’esplosione, con una larga partecipazione di popolo.
Le dolorose e drammatiche vicende che interessarono il nostro paese in seguito allo scoppio di un altro (e ben peggiore) conflitto mondiale, il rapido mutamento dei tempi, l’aumento del traffico stradale e forse anche l’affievolirsi della memoria di quel tragico giorno, portarono ben presto a celebrare in tono minore questo avvenimento: l’ultima processione si svolse probabilmente nel 1952, anno in cui si spense lo stesso monsignor Cardinali (15 gennaio), o comunque negli anni immediatamente successivi. Celebrata – senza più alcuna processione ma soltanto con la supplica – ancora ai tempi di mons. Losini, l’ultimo parroco a celebrare in qualche modo la memoria di quel giorno fu don Giampiero Cassinari nei primi anni Duemila.
Dove si trova attualmente la statua? Dopo essere rimasta fino agli anni Sessanta del secolo scorso nella nicchia citata in precedenza, la scultura venne collocata in un’altra nicchia realizzata presso la cantoria alla sinistra del presbiterio, dove rimase fino agli inizi degli anni Novanta quando, in occasione dei lavori di ristrutturazione della chiesa, venne nuovamente spostata e depositata nella stanza bassa della Torre, dove si trova tuttora. La statua, ancora in buone condizioni di conservazione ma bisognosa di pulitura e di qualche piccolo restauro, raffigura la Vergine nella classica iconografia dell’apparizione al pastore Benedetto Pareto, avvenuta sul monte Figogna il 29 agosto 1490, dove sarebbe poi sorto il famoso santuario. Alla base della statua, opera artigiana in legno di Ortisei, era presente un tempo la seguente iscrizione: “In ringraziamento per aver salvato Pontenure da un terribile disastro. 29.8.1927”, che oggi sembra essere del tutto scomparsa. Ma ben si sa, come scriveva Ovidio: Tempus edax rerum, il tempo tutto divora. Non solo la memoria storica ma anche la fede e la devozione degli uomini.







