Il conclave e il nuovo Papa, per una Chiesa radicata in Cristo
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
di Elletì – 05 Maggio 2025
A rifletterci bene, chi saranno davvero chiamati ad eleggere i 133 cardinali che tra due giorni saranno rinchiusi sotto la volta secolare della Sistina, dinnanzi a quel maestoso Giudizio che ricorda anche al più distratto turista il portato eterno delle Verità ultime? Il successore di Francesco o di Pietro? Può sembrare una domanda banale e forse anche scontata, eppure non lo è affatto, anzi è una domanda fondamentale a cui bisogna rispondere con il sereno conforto della teologia e l’immancabile ausilio della storia della Chiesa, e non semplicemente con idee personali, desideri, nostalgie o suggestioni.
«Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa», questa è la risposta che ci fornisce Gesù stesso quando affidò a Simone, il primo tra gli apostoli, l’incarico di essere suo vicario sulla Terra, mandato che si è trasmesso ai suoi successori attraverso la successione apostolica. Questo sarà chiamato ad essere il nuovo Papa: il successore dell’apostolo Pietro e non di Francesco, o di uno qualunque dei 265 papi precedenti. E questo perché egli, il Papa, non è il rappresentante di questo o quel partito, l’espressione di questa o quella sensibilità, il portatore di questo o quello stile, di questa o quell’idea di pontificato (e di Chiesa).
Questo perché lui, il Pontefice, non deriva da sé stesso ma dipende da ciò che lo precede: la fede ininterrotta della Chiesa, la Sposa del Signore, che si è espressa nel corso dei secoli fin dall’età apostolica. E la fede della Chiesa, che professiamo ogni domenica recitando il Credo, ci ricorda che in effetti è la Chiesa che precede il Papa, perché in fondo è Cristo che precede la Chiesa e il Papa. È Cristo stesso che chiama, investe e fonda Pietro quale roccia della fede e così investe ed edifica la Chiesa sulla roccia inamovibile della fede e della persona di Pietro.
Per questo, la fede e la stessa persona di Pietro, e dei suoi successori, sono a loro volta stabilite e legate in modo inestricabile alla persona di Cristo. Come aveva ben intuito papa Benedetto XVI, solo riscoprendo la fede nel Signore morto, sepolto e risorto, e soprattutto rimettendo Cristo (e non il Papa di turno, per quanto santo e pio) al primo posto la Chiesa, pellegrina sulla terra, potrà ritornare a vivere a pieni polmoni la sua missione, impermeabile allo spirito del tempo e ai condizionamenti degli uomini, prendendo davvero (e con coraggio tutto evangelico) il largo nel mare inquieto di questo mondo sempre più assetato di verità, amore ed eternità, per offrire così una speranza all’umanità perduta, che cerca disperatamente una parola di salvezza.
Si diceva una volta, e a dirlo per primo fu uno dei grandi campioni della Chiesa, Ambrogio di Milano, uno che conobbe i guasti della più tremenda crisi mai affrontata dalla Chiesa (quella ariana): Ubi Petrus ibi Ecclesia, dove c’è Pietro ivi è la Chiesa. È questa una verità che sta ad indicare il dovere di ogni buon cristiano di rimanere indissolubilmente unito alla comunione ecclesiale che trova compimento nel Pontefice romano, ma è anche e certamente vero che Ubi Ecclesia ibi Petrus. Pietro, e con lui i suoi successori, devono essere lì dove è la Chiesa, perché a sua volta la Chiesa sia lì dove è Pietro, e la Chiesa stessa lì dove è Cristo, il suo Signore.
E questo per non dimenticare che la Chiesa non è stata data in possesso ma soltanto affidata a Pietro, perché la Chiesa e la sua opera salvifica sono ben più ampie di Pietro, di ogni singolo Papa, perché esse custodiscono il papato, i sacramenti, i comandamenti divini, la Parola di salvezza del Vangelo, il mandato missionario affidata da Cristo ai suoi discepoli, la retta dottrina circa la fede e la morale, l’eterna bellezza della tradizione, e infine, ma non certo per l’ultimo, l’esercizio incessante e misericordioso della carità, la più alta di tutte le virtù perché in essa si rivela il vero volto di Dio Padre.
Il suo vero nome è Amore, e per questo Egli ha amato l’uomo, sua creatura, prima ancora che l’universo fosse creato e nulla ha risparmiato per la sua salvezza, fino a sacrificare il suo unico Figlio. È in questo conteso che la Chiesa rivela e dona ad ogni successore di Pietro la sua vera identità, purché egli obbedisca a Cristo e sia docile allo Spirito di Dio, che assisterà la Chiesa nei secoli fino al ritorno del Signore, quando tutti i giorni saranno compiuti e inizierà il giorno eterno, quello che non conosce tramonto, nella Città dei Beati.
Preghiamo dunque lo Spirito Santo, perché illumini le menti dei 133 cardinali riuniti nella Sistina e li renda concordi nello svolgimento del loro ufficio cui sono stati chiamati dalla porpora che indossano. Essa non è segno di sfarzo ma ricorda il sangue dei martiri che ancora oggi rosseggia (nella generale indifferenza) in troppi luoghi del mondo. A loro il compito di eleggere un nuovo Pietro per la Chiesa di Cristo, un nuovo Papa che sia sicuro nella dottrina, integro nei costumi, saldo nella fede, radicato nel Vangelo, missionario della Verità, annunziatore della misericordia divina, pastore provvido e coraggioso di quel gregge, la Chiesa, che Cristo ha affidato a Pietro con il compito di pascerla. E allora davvero poco importerà il nome che egli sceglierà, sia esso Francesco, Pio, Giovanni, Gregorio o Paolo.
