La Santità nella vita quotidiana – Due “Santi” pontenuresi
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
La Santità nella vita quotidiana - Due "Santi" pontenuresi
La santità non è solo quella dei Santi che sono ricordati sul calendario e venerati sugli altari, dei Martiri che hanno testimoniato la fede fino all'effusione del sangue e di cui si conservano reliquie, di coloro ai quali sono state dedicate chiese o cattedrali, che hanno compiuto miracoli e operato prodigi o hanno avuto visioni, ma anche di tutti quelli che sono passati sulla terra in punta di piedi, senza che nessuno si accorgesse di loro, ma che con la loro vita operosa e devota, intessuta di fede, sofferenza e preghiera, hanno dato una testimonianza umile e nascosta della loro santità nella vita quotidiana di ogni giorno, vissuta con fedeltà al Vangelo.
Ormai alla vigilia dell'annuale Commemorazione di Tutti i Santi, grazie ad un articolo apparso sul numero di maggio del 1982 della nostra rivista parrocchiale "La Torre", vogliamo ricordare due di questi "Santi nascosti", due dei numerosi santi che sono vissuti nel nostro paese.
Giovanni Mazzoni
Come aveva desiderato, morì in Chiesa durante la «Messa grande» delle ore 11. Era la domenica 19 giungo del 1927.
Il chierichetto aveva appena suonato il campanello che concludeva l’elevazione. Lui, che era in ginocchio, mentre si alza allarga le braccia, guarda in alto e muore. Già prima la gente di Pontenure lo riteneva e lo chiamava "Mazzoni, il Santo". Non era un giudizio pittoresco, ma la conferma popolare, seria e rispettosa, di una vita cristiana e di una fede straordinaria. Non era un bigotto. Era molto utile e si sentiva indegno dell'immensa grazia della comunione eucaristica, che non osava concedersi con frequenza.
Passava in ginocchio, senza scomporsi, ore in adorazione del Santissimo, sostenuto da una non comune capacità contemplativa. Ancora da vivo la gente chiedeva la sua preghiera, riconoscendogli un'abituale profonda unione con Dio. Pregava molto per chiunque avesse bisogno, con sincera e sofferta solidarietà. Uomo di preghiera, ma non solo in chiesa. Senza alcuna ostentazione, anche in mezzo ai campi sapeva mettersi in ginocchio e pregare al suono dell'Angelus e dell'Ave Maria, gesti che congiungevano il cielo con la terra, elevando il lavoro e la vita ad un significato divino. Questa sapienza nasceva solo al miracolo della fede e dei doni dello Spirito. Era analfabeta, contadino bracciante ai tempi duri, quando si lavorava dall'alba al tramonto per un salario molto esiguo. Sposato con tre figlie, rimarrà vedovo.
Pur povero, aiutava chi era nel bisogno e si interessava alla situazione degli indigenti ai quali venivano consegnati ogni martedì dalla Parrocchia «i buoni di S. Antonio» che servivano per ritirare gratuitamente generi alimentari. Amava la Parrocchia e se ne sentiva responsabile: fu incaricato per la distribuzione della buona stampa, guidava le processioni, si rendeva disponibile ai servizi più umili e fastidiosi. Avvenuto un furto sacrilego, manifestò di essere pronto a passare le notti in chiesa, qualora fosse stato ritenuto utile e opportuno dai superiori per difendere il tempio.
Non permetteva il pettegolezzo o la maldicenza, «mi fanno male le orecchie!» era la frase con la quale bloccava lo sviluppo di qualunque tipo di mormorazione. Con lui diventava naturale e interessante parlare dell'esperienza di fede e di problemi religiosi. Si sottoponeva a penitenze volontarie e quando veniva mortificato ringraziava.
Il suo funerale raccolse attorno alla sua bara tutti i pontenuresi e fu portato a spalla da un estremo all’altro del paese. La sua tomba fu meta e speranza di non pochi pontenuresi, che, ritenendolo veramente santo, ricorrevano alla sua intercessione per ottenere grazie.
Elvira Finetti
Il 13 aprile 1982 veniva annunciata la morte di Elvira Finetti ved. Pagani; la partecipazione della gente che da tempo seguiva le alterne vicende della sua malattia, dopo la triste notizia, è stata unanime.
Gran folla, giacché conosceva le virtù e le benemerenze sue, che giaceva in un letto, divenuto «altare di quotidiani sacrifici». Unanime quindi nell’esternare ai figli le espressioni di grande cordoglio per la dipartita di una figura di madre «grande nell’amore e nella dedizione».
La sua numerosa prole, otto figli di cui sei viventi, ha avuto sincere e sentite espressioni di viva ammirazione e di rimpianto. Le madri, e questa certamente lo è stata, hanno una collocazione particolare nella mente dei figli e di quanti ancora sentono una doverosa riconoscenza per chi, pur nel nascondimento e nell’offerta della vita per gli altri, accettano il dono, non comune, di una esistenza tutto lavoro, rinuncia, preghiera.
È stata una grande ed amata madre; i numerosi suffragi degli amici e dai conoscenti, sono di grande conforto per chi rimane, consapevole anche della luce perenne lassù, in cielo, ove certamente ha raggiunto il premio assegnato alle «vergini prudenti».
La sua «croce quotidiana» ha alimentato la lampada viva, perenne delle virtù; le sue sofferenze della carne, un calvario che l’ha condotta alla sua Risurrezione; e questa è avvenuta proprio nello stesso giorno in cui si rievocava quella del Cristo che «fu redenzione dei mali del mondo».
Noi la vedevamo la domenica, quando nel vigore delle forze era presente alla prima messa, vicina allo strumento musicale, che cantava, pregava e si nutriva di Cristo che a tutti ed a lei diceva «Beati gli invitati alla Cena del Signore»; ora essa certamente è nel Regno del Padre a cogliere il premio di una esistenza lunga, generosa, laboriosa, santa. L’infermità non l’ha vinta; l’ha accettata con un abbandono al divino volere; ed è stata una malattia lunga, un’esperienza sofferta.
È difficile ripercorrere un cammino così intessuto nella casa, per i figli, per il marito che l’ha preceduta; essa ha avuto tanti talenti e tutti lodevolmente messi a profitto senza incertezze e senza viltà. Era la prima alle funzioni, un modello di volontà, di abnegazione e di partecipazione alle iniziative parrocchiali. Un conforto, quindi, per i familiari, sono state le attestazioni di affetto e di stima per la vitalità di una esistenza così generosa e feconda.
Durante il rito funebre, le belle espressioni dei canti, le fervorose preghiere di tutti, le parole di conforto del Celebrante don Gianni, hanno lasciato di lei il più grato e caro ricordo.