“Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli…”: i martiri dei lager
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
di Elletì – 27 Gennaio 2025
Il Giorno della Memoria viene celebrato il 27 gennaio di ogni anno per commemorare le vittime dell’Olocausto: è il giorno della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta 80 anni fa, il 27 gennaio 1945, a opera delle truppe sovietiche dell’Armata Rossa.
Non solo loro, non soltanto. Nella sua lucida quanto perversa follia Adolf Hitler non voleva soltanto lo sterminio degli ebrei, degli omosessuali, degli zingari, dei malati di mente. Nella sete di dominio che è poi comune a tutti i dittatori, quello che si definiva il Fuhrer della Grande Germania non poteva certo tralasciare l’annientamento di quanti si opponevano a lui e ai suoi seguaci, di quanti si opponevano e combattevano il nazifascismo. Nei suoi piani, vi era infatti l’intenzione di distruggere la Chiesa cattolica, invadere il Vaticano, sequestrare e deportare il papa Pio XII, come aveva fatto Napoleone con Pio VII, sterminare cardinali, vescovi e sacerdoti. L‘eliminazione della Chiesa era “l’ultimo grande compito” che Hitler si riservava per il dopoguerra (come sappiamo dalle registrazioni di Martin Bormann, il suo fido segretario).
E ciò non stupisce. In un solo lustro, centinaia di migliaia sono stati i sacerdoti cattolici che hanno trovato la morte per mano dei nazisti, dei fascisti o dei loro alleati in Europa: solo in Germania 164 preti diocesani e 60 religiosi. In Polonia una vera «mattanza» di preti: in tutto circa 3 mila ne furono uccisi, di cui 1.992 nei campi di concentramento e ben 787 soltanto a Dachau.
Nei campi di sterminio del Terzo Reich, ai ministri di culto, specie quelli cattolici, si riservano le più raffinate umiliazioni con sadismo tutto nazista. A Dachau a un prete cattolico tedesco un aguzzino delle SS mette la corona del rosario sulla testa, con la croce pendente sulla fronte e, a pugni e calci, lo obbliga a girare il campo urlando: «È arrivato finalmente il primo maiale di prete. Poi arriverà anche il gran prete di Roma e allora la truffa cattolica finirà una volta per tutte».
Proprio nel campo di Dachau, in quello che fu chiamato il “blocco dei preti”, i numeri ci parlano con nitidezza di un martirio collettivo: 2.720 i religiosi imprigionati, dei quali 2.579 sacerdoti, religiosi e seminaristi cattolici, 109 pastori protestanti, 22 ortodossi e 8 di altre confessioni. Dei cattolici, in più di mille morirono di stenti, sfinimento e malattia, in ottocento furono gasati, altre centinaia persero la vita negli esperimenti “medici”. Eppure nelle baracche 26, 28 e 30 si rinnovò la celebrazione quotidiana del santo sacrificio della Messa, in cui le parole della consacrazione diventavano un tutt’uno con l’offerta delle loro vite di coloro che lo offrivano, come aveva comandato il Maestro.
Eh sì, malgrado le tremende persecuzioni, l’odio invincibile, la violenza disumana, i cristiani non cessano di essere discepoli del loro Signore, neanche nell’abisso della desolazione. Ne è un esempio Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein. Di origine ebraica, convertitasi al cattolicesimo dall’ateismo e divenuta monaca del Carmelo, venne catturata dai nazisti in Olanda e spedita poi nel campo di Auschwitz, dove troverà la morte in una camera a gas. Alcune ore prima della deportazione, scrisse un biglietto per la madre priora, recante la scritta “Ave crux, Spes unica” (“Ti saluto, Croce, nostra unica speranza”). Nelle camere a gas di Auschwitz, pregava e confortava il prossimo, in particolare i bambini perché “Sub cruce intellexi” (Sotto la croce ho compreso).
Un altro grande religioso, il francescano polacco, padre Massimiliano Kolbe, divenuto santo nel 1982, viene considerato come un martire della fede e della carità, perché non esitò ad offrire la sua vita per salvare quella di un altro prigioniero, che era un padre di famiglia. Condannato a morte per inedia, padre Kolbe guidava la preghiera e soccorreva gli altri infelici, prima di tendere il braccio al carnefice inviato a somministrargli l’iniezione fatale perché non si decideva a morire. «Ave Maria», il saluto alla Vergine, nella cui sequela aveva speso l’intera esistenza, fu il suo congedo dalla vita terrena per passare alla Gerusalemme del Cielo.
E ancora. San Titus Brandsma, prima di morire a Dachau, perdonò i suoi carnefici. Prima dell’iniezione letale, donò il suo rosario all’infermiera che lo uccise, fedele alle parole di Gesù: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34). Nel campo di concentramento di Buchenwald il sacerdote austriaco Otto Neururer, proclamato beato nel 1996, viene appeso a testa in giù da una trave, crocifisso come il Maestro, per aver battezzato di nascosto un prigioniero, atto severamente proibito dal regolamento del campo. . Morirà insieme ad un confratello dopo trentasei ore di agonia, il 30 maggio 1940. E poi a Mauthausen, in Austria, tocca ricordare padre Edmund Kalas, polacco. Gravissima la sua colpa: aveva allontanato una guardia tedesca da un prigioniero che stava uccidendo a calci; la reazione fu feroce: il sacerdote venne fatto lapidare dagli stessi prigionieri (7 giugno 1943).
Tanti, troppi, sono i nomi che mancano da questa nostra ricostruzione. Alcuni di loro sono stati riconosciuti dalla Chiesa, altri sono noti solo a Dio, ma il Vangelo ci ricorda la portata inestimabile del loro sacrificio, che percorre i secoli: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Giovanni 13,35). I martiri dei lager hanno testimoniato con la vita questa parola del Signore, fino all’estremo sacrificio, nella consapevolezza che solo nell’amore gratuito e totale c’è la vera testimonianza cristiana.
Dalla Croce del Maestro ai camini dei forni crematori, il sacrificio di questi martiri moderni è un ponte di fede e di amore che ci interpella ancora oggi. Essi ci ricordano, come fece il Signore offrendosi liberamente alla morte di croce, che solo nell’amore fino alla fine c’è la salvezza del mondo. Perché «Chi vuol salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, non la perderà in eterno» (Marco 8,35).
