Pontenure e le epidemie: nel 1855 torna il colera
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
Pontenure e le epidemie: nel 1855 torna il colera

Notificazione del vescovo di Piacenza Antonio Ranza con cui si annuncia alla Diocesi la fine dell'epidemia di colera che colpì Piacenza e provincia nel 1855. Questo documento proviene dal nostro Archivio parrocchiale.
Nel 1848-49, circa dieci anni dopo la prima ondata epidemica, l'Europa fu interessata da una nuova epidemia di colera, che arrivò in Italia nell'estate del 1849, ma che si diffuse assai meno della precedente, interessando soprattutto le Venezie, la Lombardia, Bologna e la Romagna, tutti territori interessati dalle operazioni militari della prima guerra d'indipendenza. A quanto risulta questa seconda ondata non coinvolse la nostra provincia e anche i registri dei morti del nostro Archivio parrocchiale non riportano nessuna segnalazione a riguardo.
La salvezza purtroppo fu solo provvisoria. Il colera tornò a visitare il Piacentino solo cinque anni dopo. Nell’ottobre 1854 alcuni casi si registrarono a Piacenza, Veano, Podenzano, ma la diffusione maggiore del contagio si verificò nell’estate dell'anno successivo, interessando per la seconda volta anche Pontenure. Oltre al nostro paese risultarono colpite anche Sant'Antonio, Rivergaro, Ponte dell'Olio e altre parrocchie della Diocesi tanto in pianura come nella collina e montagna. Il 1° agosto 1855 morirono nella nostra Parrocchia ben quattro persone e nei due mesi successivi ne morirono in tutto 65, con una media di due decessi al giorno. Ai primi di ottobre, con l’arrivo dell’autunno, l’epidemia si esauriva.
A firmare le annotazioni, a partire dai primi giorni di agosto, sul dodicesimo tomo del registro dei Defunti fu il curato Giovanni Draghi, che da qualche anno aveva in carico l’amministrazione temporale e pastorale della Parrocchia dato che l’arciprete Giuseppe Groppi non si era più ripreso da un colpo apoplettico che lo aveva colpito nell’ottobre 1852. Prima vittima del morbo, l'ultimo giorno di luglio, fu Carlo Gobbi che abitava presso la cascina detta della Casa Grande, oltre il torrente Riglio. Lo stesso giorno morivano Pietro Prazzoli e due donne, Maria Antonia Zanardi e Fiorenza Bonini, che abitava anch’essa oltre il Riglio. Il 3 agosto fu la volta di Giacinta Boiardi, del trentenne Carlo Faimali e di Luigia Costa. Il giorno 4 toccò a Giuseppe Salvotti e Giuseppe Corbellini, anche loro morti "ex cholera morbo", come ci informano le preziose annotazioni del curato Draghi. Il 12 agosto moriva Stefano cattivelli, che soltanto due giorni prima aveva perso la figlia Clementina di appena 18 mesi, anche se la morte della bambina non viene attribuita al colera. Il 4 settembre moriva invece Raffaele Tomaselli, originario del Bresciano. Anch’egli come tutti gli altri defunti fu tumulato nel nostro cimitero, segno che la pietà cristiana non era venuta meno, anche nei confronti dei forestieri.
La maggior parte delle vittime del morbo aveva più di 30 anni: sotto i 20 anni si segnalano relativamente pochi casi, come il sedicenne Luigi Gobbi, morto il 5 agosto, ma anche Giovanni Gobbi e Luigi Pagani, entrambi di dieci anni, morti rispettivamente il 12 e il 18 agosto. Sempre il 18 moriva un altro bambino, Giuseppe Bettini, di appena due anni. Il giorno successivo era la volta di Pietro Garilli, di cinque anni. Nel mese di settembre l’epidemia interessò in particolare la frazione di Valconasso: qui abitavano infatti Margherita Rossi e Giuseppe Giuseppe, entrambi morti il 9 di quel mese; il 13 era la volta di Amalia Tinelli, il 16 di Maria Alberoni. Nei giorni seguenti altri morti seguirono nelle varie cascine sparse per la campagna pontenurese. L’ultimo a spegnersi a causa del morbo fu Giovanni Marzolini, di 48 anni, morto il 14 novembre presso la Ferriera.
In occasione della seduta del 5 luglio 1855 del Consiglio dell'Opera parrocchiale di Pontenure, riunitosi in seduta ordinaria presso la sacrestia della chiesa, si discusse intorno alla proposta del presidente Ludovico Maffei di far erigere presso il cimitero del paese «una camera mortuaria per poter ricoverare in essa i morti del colera onde impedire così l'infezione che dal lasciarsi nelle case particolari ne potrebbe derivare». A causa degli annosi problemi che affliggevano allora il bilancio dell'Opera parrocchiale (l'esercizio precedente era stato chiuso con un deficit pari a 70 lire del tempo), dopo un breve dibattito il Consiglio riconosceva di non trovarsi nelle condizioni di poter sostenere una simile spesa. Secondo la perizia richiesta al capomastro Lazzaro Volpini per la costruzione della camera mortuaria sarebbe stata necessaria la somma di 177 lire. In conclusione, ci informano i registri del tempo, si deliberava di inviare il «bilancio dell'esercizio corrente» e la perizia stessa «a Sua Eccellenza il Governatore di Piacenza» allo scopo di «fargli conoscere il bisogno di cui si tratta e fargli prendere le determinazioni che più crederà opportune». A quanto consta tale proposta non ebbe successivi sviluppi, almeno stando a quanto riportato a riguardo sui registri dell'Opera parrocchiale.
In quello stesso anno, vista la particolare situazione e la minaccia del morbo, molti fedeli non mancarono di lasciare generose offerte e donazioni a favore della Beata Vergine Maria e di San Rocco, un santo invocato fin dal lontano Medioevo per la protezione dalla peste e dalle pestilenze in genere. La somma raccolta fu notevole per quei tempi, risultando pari a 230 lire nuove del tempo. Venne così stabilito di impiegare parte di quella somma, rispettando le intenzioni degli offerenti, per l'abbellimento delle cappelle di San Rocco e della Madonna del Rosario; col resto del denaro si decise invece di far ridipingere le statue della Madonna e di San Rocco, ancora oggi conservate nella nostra chiesa, e di far indorare le cornici che controvano le nicchie in cui erano rinchiuse.
Un'ultima annotazione, che ci sembra doverosa, riguarda la figura di don Gioacchino Cella, che il 28 ottobre 1856 sarebbe divenuto il nuovo arciprete di Pontenure, succedendo proprio a don Giuseppe Groppi, che morì pochi mesi dopo la fine del colera. Nel corso dell'epidemia di colera del 1855, don Cella, a quei tempi ancora arciprete di Bardi, in provincia di Parma, dovette distinguersi in modo particolare nell'affrontare questa grave emergenza sanitaria, tanto da meritare, come testimonia l'Almanacco di corte dell'anno 1858, la Medaglia d'argento per i benemeriti della Sanità pubblica, che gli fu concessa dalla Duchessa reggente Luisa Maria di Borbone, che allora governava il Ducato per conto del figlio, il giovane Duca Roberto di Borbone-Parma. Questa decorazione, già istituita da Maria Luigia in occasione dell'epidemia della prima epidemia colera del 1836, venne infatti rinnovata dalla Duchessa Luisa Maria con decreto n. 482 del 12 novembre 1855, «per coloro che, nella funesta invasione del morbo asiatico, posponendo la personale sicurezza all'amore fraterno, e gareggiando colla pubblica beneficenza, seppero mostrarsi vigili alla esecuzione de' provvedimenti, instancabili negli aperti ospizii, apportatori di sollievi al male, e di conforti all'animo, generosi nel porgere ricovero e insieme soccorsi». La medaglia, appesa ad un nastro di colore turchino, listato di rosso nei lembi, recava da un lato l'immagine del duca Roberto con la madre Luisa Maria e dall'altra la scritta Alla carità coraggiosa.
Né purtroppo questa epidemia fu l’ultima epidemia colerica che colpì il nostro paese: il letale morbo tornerà ancora una volta intorno nel 1867, come vedremo in un prossimo articolo. Di seguito le scansioni relative agli atti di morte delle persone decedute a causa del colera sul dodicesimo tomo del registro dei Defunti ancora oggi conservato presso il nostro Archivio parrocchiale.
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