«Voglio ricordare che ottant’anni fa, il 19 luglio 1943, alcuni quartieri di Roma, specialmente San Lorenzo, furono bombardati, e il Papa, il Venerabile Pio XII, volle recarsi in mezzo al popolo sconvolto. Purtroppo anche oggi queste tragedie si ripetono. Com’è possibile? Abbiamo perso la memoria? Il Signore abbia pietà di noi e liberi la famiglia umana dal flagello della guerra». Queste sono le vibranti parole con cui papa Francesco, durante l’Angelus di domenica scorsa, ha voluto ricordare l'indimenticato predecessore Pio XII e il terribile bombardamento che esattamente 80 anni fa sconvolse la Città Eterna.
Erano quelli tempi terribili, e anche allora il mondo era sconvolto dal flagello della guerra. Quasi 600 aerei americani sganciarono su buona parte di Roma circa 4000 bombe per un peso complessivo di oltre mille tonnellate. Nel mirino dei bombardieri al comando del generale americano James Doolittle - che nel 1942 aveva effettuato il primo bombardamento aereo su Tokyo come rappresaglia per l’attacco giapponese a Pearl Harbor - lo scalo ferroviario di San Lorenzo (nel popoloso omonimo quartiere si registrarono 717 vittime) e i quartieri limitrofi: Tiburtino, Labicano, Prenestino, Tuscolano. Grande fu la strage e la distruzione provocata: circa 3000 furuno i morti e 11.000 feriti; 10.000 case furono distrutte e 40.000 cittadini rimasero senza tetto. Dopo quel primo bombardamento ne seguirono altri cinquantuno, fino alla Liberazione di Roma.
Era il 19 luglio e nemmeno una settimana dopo sarebbe caduto il fascismo. Anche la monarchia era sempre più malvista per non essersi opposta all’entrata in guerra nel 1940. L’unica autorità ancora rispettata dalla gente era il Papa: un Papa romano, tra l’altro. Pio XII, al secolo Eugenio Pacelli. E il Pontefice, appena appresa la notizia del bombardamento, ordinò di essere portato immediatamente a San Lorenzo per dare conforto alla popolazione: un'evento più unico che raro, almeno a quei tempi, quando rarissime erano le uscite del pontefice. Pio XII però capì che in quel momento, con il re Vittorio Emanuele III e Mussolini così impopolari e visti dalla popolazione come i responsabili della disfatta, solo lui sarebbe potuto essere il punto di riferimento per tante persone. E fu così che senza pensarci più di tanto e senza mettere in campo la macchina della sicurezza e del cerimoniale, insieme a Giovanni Battista Montini, sostituto alla Segreteria di Stato, quando ancora il bombardamento non si era concluso, si recò su una vecchia Mercedes a San Lorenzo, praticamente privo di scorta, a benedire, consolare e dare conforto alla popolazione che lo acclamò, invocando la pace, la fine della guerra.
A fare da scorta al Papa pensò il popolo romano, che si strinse attorno al suo Vescovo e pastore. Pio XII rimase assai colpito da quello che vide, dai tanti lutti, dalla distruzione, si avvicinò ai feriti, diede la benedizione ai morti recitando il De Profundis, consolò i superstiti. E al ritorno in Vaticano la sua talare bianca era macchiata di rosso. "Santità lei è ferito”, disse la sua assistente suor Pascalina vedendolo tornare in Vaticano, ma Pacelli amaro in volto rispose: "Sorella non è il mio sangue, questo è il sangue di Roma". E a qualcuno che lo rimproverava per essersi esposto a tale pericolo, papa Pacelli rispose senza esitare: "Lo rifarei immediatamente se – Dio non voglia! – la città dovesse essere bombardata di nuovo…". L'Urbe venne bombardata una seconda volta meno di un mese dopo, il 13 agosto 1943, e anche in quella occasione il Papa si recò a San Giovanni, zona particolarmente colpita da questo secondo raid aereo alleato.