La facciata e i suoi numerosi rifacimenti

Una vecchia cartolina, precedente al 1911, che ritrae la facciata prima delle modifiche dello scorso secolo e l’edificio che ospitava le scuole elementari del capoluogo che sorgeva proprio davanti alla chiesa.

Dall’alto di una massiccia gradinata la nostra chiesa domina il centro di Pontenure con la sua facciata di gusto neoclassico, giunta fino a noi attraverso una serie di rifacimenti effettuati a più riprese tra il XVIII e il XX secolo. Non conosciamo quale aspetto avesse la facciata nei secoli precedenti, ma senza dubbio la chiesa risultava assai più elevata di quanto non appaia oggi rispetto al piano stradale; l’unico elemento che si è sicuramente conservato è l’orientamento, con l’abside rivolto ad est e la facciata ad ovest. Tale disposizione racchiude un profondo significato simbolico: entrando in chiesa dal sagrato il fedele si dirige verso oriente, cioè verso il sorgere del sole, per chiedere di essere illuminato dalla parola di Dio, «sole di giustizia».

Per trovare un primo ma assai fugace accenno alla facciata dobbiamo risalire al 1772, quando l’economo Giovanni Serafino Inzani, che sostituiva l’arciprete Fiorenzo Politi, rimosso dal vescovo Alessandro Pisani perché sofferente di malattie nervose, intraprese i primi importanti lavori di rifacimento della chiesa che nel breve volgere di un lustro la trasformarono radicalmente. Attraverso i redditi del beneficio e le offerte dei fedeli vennero infatti costruite le volte sulle tre navate allora esistenti ed eretta la cupola, ma si provvide anche ad un primo rifacimento della facciata, che era in muratura e completamente liscia, senza nessun fregio o decorazione particolare, a parte i quattro pinnacoli posizionati sulla sommità dell’edificio, il più centrale dei quali era sormontato da una croce, ed il dipinto ad affresco raffigurante il patrono, San Pietro Apostolo. Nel 1829, in previsione della visita pastorale del vescovo di Piacenza Lodovico Loschi, l’allora arciprete don Giacomo Rossi e la Fabbriceria disponevano, come si apprende da un registro dell’Opera parrocchiale, che «esternamente si debba far incalcinare tutto il recinto del sagrato ed in parte la torre, restaurando ancora la facciata della chiesa e poscia farla imbiancare decentemente e colorirla come comporta la decenza del luogo». Tuttavia, secondo quanto scrive in uno dei censuali conservati presso il nostro archivio don Gioacchino Cella, arciprete di Pontenure dal 1856 al 1889, ancora intorno al 1875 «i muri esterni della Chiesa per la maggior parte erano ancora grezzi e probabilmente non avevano mai ricevuto intonaco e si vedono composti di materiale antico, embrici e tegole romane, e datano almeno dal 1100 al 1200». Nel 1875, in previsione della consacrazione della chiesa, avvenuta il 5 ottobre 1878, lo stesso Cella provvide a far intonacare i muri esterni e alla tinteggiatura dell’intero edificio.

Fino alla prima metà del XIX secolo era possibile accedere alla chiesa soltanto tramite la porta principale, che si apriva sulla facciata, e una porta laterale, che si apriva invece lungo il muro che costeggia la via Emilia. Fu infatti intorno al 1861 che l’arciprete Cella, «vedendo la chiesa molto scura», prese la decisione di far chiudere la porta laterale e di realizzare al suo posto altre due porte più piccole sulla facciata, accanto al portone principale. Venne inoltre aperta una finestra sopra quest’ultimo, anche se di dimensioni più ridotte rispetto all’attuale, mentre altre due piccole finestre a semicerchio furono aperte sopra le porte laterali. Tutti questi interventi, secondo quanto ha lasciato scritto lo stesso Cella, che molto si spese per restituire il dovuto decoro al tempio, «cambiarono facciata alla Chiesa rendendola più sana e ventilata». Tutte le porte erano provviste di tendaggi; sappiamo che quelli della porta principale vennero rinnovati agli inizi dell’Ottocento a spese dell’allora arciprete Benedetto Moris. Le pareti esterne della chiesa erano mantenute «monde dalle immondezze» e alle porte non venivano appesi che «inviti sacri, o avvisi governativi aventi relazione, o alla vaccinazione, o a cose spettanti il culto». Nella prima metà del secolo scorso le porte venivano aperte all’Ave Maria del mattino, quindi d’inverno alle sei, d’estate alle quattro. La chiesa rimaneva aperta tutto il giorno, tranne che da mezzogiorno alle due del pomeriggio, per poi essere chiusa dopo l’Ave della sera, quindi alle diciassette e trenta d’inverno e alle ventuno e trenta d’estate. Nel 1989 il portone centrale e quelli laterali vennero restaurati dal laboratorio artigiano del signor Ettore Mazzoni, specializzato nel recupero di antichi manufatti lignei, mentre la ditta Antonio Mondani venne chiamata ad occuparsi del restauro delle porte interne.

Già nei primi anni del secolo scorso era avvertita la necessità di avviare «dei lavori di ristauro e riparazioni urgentemente richiesti per la statica del tempio», come testimoniano i verbali delle sedute dell’Opera parrocchiale di quel periodo, che denunciano con toni accorati il pessimo stato in cui versavano la pavimentazione, con frequenti crolli e sprofondamenti del pavimento dovuti alle numerose sepolture presenti nel sottosuolo, e la copertura della chiesa; il tetto infatti risultava pericolante, pur avendo subito una prima riparazione nel 1831 e una seconda nel 1877, all’epoca del secondo ampliamento. Nel maggio 1907, l’arciprete allora in carica, don Rolando Romani, e il Consiglio dell’Opera parrocchiale avviarono pertanto le necessarie procedure, coinvolgendo anche l’Amministrazione comunale, al termine delle quali furono presentati due preventivi da parte dei capomastri Cesare Rebecchi e Alessandro Camoni. L’anno successivo l’incarico venne affidato al Camoni, il cui progetto prevedeva forse anche un rifacimento della facciata che non fu però mai realizzato. Nei due anni successivi furono portati infatti a termine soltanto i lavori ritenuti più urgenti e necessari per garantire la sicurezza dell’edificio, anche se tra molti triboli dovuti alla mancanza di fondi, all’aumentare delle spese (che passarono dalle 600 lire preventivate inizialmente a oltre 1.600), agli scioperi generali dei muratori e alla morte dell’arciprete Romani (14 luglio 1909). A complicare ancora di più la situazione ci si mise anche il successivo scoppio del primo conflitto mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia, eventi che costrinsero il nuovo arciprete, monsignor Giuseppe Cardinali, a rinviare a tempi migliori ogni possibile progetto di miglioria e rifacimento della chiesa.

La facciata della nostra chiesa negli anni Trenta al termine del terzo rifacimento operato dall’architetto Capezzuoli. A sinistra il vecchio edificio delle scuole elementari.

L’attuale facciata risale infatti al primo dopoguerra, quando tra il 1920 e il 1923 su impulso di monsignor Cardinali la chiesa fu interessata da alcuni importanti interventi di ristrutturazione con cui si provvide alla decorazione dell’interno (tempere parietali realizzate dal professor Umberto Giunti dell’Accademia di Pisa), al rifacimento della pavimentazione (pavimento in stile veneziano offerto dal commendator Armando Raggio e da sua moglie), ma soprattutto alla sistemazione della facciata. Ad essere incaricato del rifacimento di quest’ultima fu l’architetto senese Corrado Capezzuoli, del quale si ricordano altri progetti di restauro di chiese e castelli della nostra provincia. Il rifacimento operato dal Capezzuoli, il terzo di cui abbiamo notizia, comportò la chiusura delle finestre semicircolari sovrastanti le porte laterali e l’apertura di un finestrone centrale più ampio, allo scopo di dare maggiore luce alla chiesa, operazione che fu resa possibile dal trasporto dell’organo alle spalle del coro e dalla rimozione della cantoria lignea che si apriva sulla controfacciata dell’edificio. In seguito a questi lavori scomparve anche l’affresco raffigurante il santo patrono che era collocato proprio sopra al portone centrale, dipinto di cui non restano purtroppo che poche e scarsamente dettagliate testimonianze fotografiche.

Sottoposta verso la fine degli anni Ottanta del secolo scorso ad un importante intervento di pulitura e restauro condotto dalla ditta Alfonso Setti, ai giorni nostri la facciata si presenta a vento, più alta cioè dell’edificio retrostante, suddivisa in tre sezioni da lesene scanalate. Le due ali laterali sono più basse rispetto alla sezione centrale, coronata da un frontone triangolare e rinserrata agli angoli da due ordini sovrapposti di lesene a fascio, separate da una trabeazione. Sulla facciata si aprono tre portali che consentono di accedere alla chiesa, ciascuno dei quali è coronato da un frontone: quelli sopra le porte laterali sono triangolari, mentre quello sopra la porta centrale è curvilineo. Nella parte superiore dell’edificio, al centro della facciata, si apre un finestrone rettangolare, anch’esso sormontato da un frontone curvilineo. Sopra le porte e le finestre è inserito un motivo ornamentale che intende simulare un cartiglio.

Un progetto mai realizzato. – Presso il nostro archivio parrocchiale è conservato un disegno, risalente al 1907, che illustra una proposta di rifacimento della facciata della chiesa. Non è presente il nome dell’autore, ma è probabile che si tratti di uno schizzo relativo al progetto presentato proprio in quell’anno dal capomastro Alessandro Camoni, di cui abbiamo parlato in precedenza, non realizzato a causa della scarsità di fondi.

Come si può vedere dal disegno, la facciata mantiene a grandi linee l’aspetto che conosciamo, anche se tra le numerose differenze è doveroso segnalare la chiusura della finestra centrale, il rifacimento dell’affresco raffigurante il patrono e della relativa cornice, l’apertura di due rosoni sopra le due porte laterali, un ingrandimento del portone centrale, la presenza di una lunga iscrizione orizzontale che divide in due sezioni l’edificio e riporta il celebre passo del Vangelo (Matteo 16, 18) «Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam», ossia “Tu sei Pietro e sopra questa  pietra edificherò la mia Chiesa”. La parte superiore risulta coronata da un frontone assai elaborato ed ornato con fregi consistenti nelle chiavi incrociate e nella tiara, entrambi tipici attributi di San Pietro, mentre alcune linee tratteggiate lasciano intravedere l’intenzione di tinteggiare la chiesa a fasce alterne utilizzando i colori bianco e grigio ardesia, scelta non affatto comune nel piacentino ma caratteristica dell’area toscana.

Chissà se in futuro verrà scoperta a chi apparteneva la mano che stese questo progetto mai eseguito e rimasto per più di un secolo solo un disegno su un foglio di carta!

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