tratto da “La Torre” n. 01/2005
Il generale disordine provocato dalle invasioni barbariche, il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ed il conseguente venire meno di un saldo riferimento civile e religioso furono avvenimenti che oltre a produrre in Italia una forte depressione economica e sociale intaccarono anche il lavoro svolto dai vescovi cattolici nella prima evangelizzazione. I monaci, nonostante la situazione negativa di tale periodo storico, riuscirono ad influenzare positivamente i rapporti con l’umile popolo contadino e attraverso le predicazioni, le opere e l’incessante lavoro agricolo nei monasteri diedero l’avvio ad una nuova fase d’evangelizzazione che, successivamente, si affermò grazie all’intervento di vescovi e sacerdoti.
La prima evangelizzazione (IV secolo) aveva, definito le varie circoscrizioni ecclesiastiche – le diocesi – e, per quanto riguarda il nostro territorio, aveva visto nel vescovo Savino il principale artefice. Savino per evidenziare il legame della Chiesa piacentina con il Papa aveva promosso la costruzione, sulle principali vie consolari, di chiese dedicate a San Pietro Apostolo. La seconda evangelizzazione, fu caratterizzata dalla costruzione di Chiese Battesimali complessi costituiti da chiesa e battistero in cui poteva essere somministrato il Battesimo, fino al VII secolo facoltà esclusiva della Cattedrale cittadina.
Con tali premesse, monsignor Domenico Ponzini il 2 dicembre 2004, nell’ambito del terzo incontro sulla storia dell’evangelizzazione, ha guidato i presenti nella comprensione del fenomeno del decentramento ecclesiastico che interessò l’Italia dalla fine del VII secolo e che si espresse simbolicamente con le Pievi vale a dire chiese, cellule prime della giurisdizione ecclesiastica rurale nonché veri e propri centri religiosi, amministrativi, culturali ed economici. Il termine Pieve deriva dal latino plebs = popolo; in origine la parola Pieve indicò il popolo dei cristiani formato dalla maggioranza dei poveri plebani, successivamente fu utilizzata con accezioni specifiche ma strettamente collegate tra loro: la (primitiva) comunità parrocchiale, la circoscrizione cioè il territorio in cui abitava, l’edificio religioso.
I più antichi documenti che riconoscono ufficialmente Pieve una chiesa, risalgono alla fine del 600 d.C.. Nacquero Pievi nell’Italia centro settentrionale, dapprima in Toscana successivamente in Romagna e quindi in Emilia, non si formarono invece in Sardegna, in Sicilia e nel meridione. Per il nostro territorio le prime Pievi furono fondate verso la fine dell’800 d.C. (Pieve di Varzi e Pieve di Velleia).
Il relatore ha ricordato come gli itinerari stradali influenzarono anche questa seconda fase dell’evangelizzazione favorendo la costruzione di nuovi edifici sacri nei pressi delle vie consolari, oppure conferendo il titolo di Pieve a chiese esistenti sulle stesse vie. Per assolvere al meglio la funzione di Pieve al servizio del popolo di Dio e poter accogliere il maggior numero di persone, la chiesa plebana aveva come ubicazione ideale l’incrocio di quattro vie importanti. A differenza delle Cattedrali, la cui ubicazione e reciproca distanza era ben regolamentata, per le Pievi non sono stati rintracciati documenti specifici, ma vari studiosi affermano che la prassi dell’epoca fu di distanziarle di circa 12 km.
Monsignor Ponzini ha quindi articolato la descrizione della costituzione della Pieve attraverso l’esame delle caratteristiche religiose, dell’aspetto organizzativo, amministrativo, logistico e culturale tipico di una Pieve dell’epoca, prendendo come riferimento anche la Pieve di San Pietro di Pontenure formatasi, presumibilmente, negli ultimi anni dell’800 d.C. La Pieve, poiché luogo di culto, era fornita di Fonte Battesimale e di cimitero. I matrimoni per essere riconosciuti validi dovevano essere celebrati sul sagrato dopo la Messa. In essa, inoltre avvenivano le principali celebrazioni dell’anno liturgico e particolarmente solenne era la benedizione del Fonte Battesimale il Sabato Santo con la distribuzione degli Oli Santi ricevuti il giovedì precedente dal Vescovo in cattedrale. Tale procedura evidenziava come, attraverso gli Oli Santi, il decentramento ecclesiastico manteneva forte il legame tra la Cattedrale e le Pievi della Diocesi e tra le Pievi e le Chiese minori.
La Pieve di Pontenure sorgeva nei pressi della Via Emilia che ne facilitava il raggiungimento; confinava con le Pievi di San Polo, San Giorgio, Carpaneto, Fontana Fredda, San Martino in Olza, Polignano e San Salvatore di Sparavera. La Pieve era diretta dall’Arciprete (così era chiamato il Sacerdote Capo) che possedeva la giurisdizione ecclesiastica sulle chiese minori (Cappelle) del territorio pievano. Istituzionalmente la Pieve era considerata una piccola cattedrale ed all’Arciprete era riconosciuto un potere molto simile a quello del Vescovo. L’Arciprete era inoltre gerarchicamente superiore dei Canonici (preti che abitavano nella canonica) e organizzava il servizio Pastorale delle altre chiese.
La Pieve tipica era a pianta basilicale a tre navate (a Pontenure le due ulteriori navate furono costruite in epoca successiva), l’abside rivolto ad est e la facciata ad ovest. Tale disposizione racchiude un profondo significato simbolico: entrando in chiesa dal sagrato il fedele si dirige verso est cioè verso il sorgere del sole per chiedere di essere illuminato dalla parola di Dio “Sole di Giustizia”. La canonica, orientata a sud così da poter ricevere la luce ed il calore del sole per maggior tempo nell’arco delle fredde giornate padane, era presumibilmente corredata da un chiostro che permetteva ai preti che vi abitavano di raggiungere la chiesa riparandosi dalle intemperie.
Ricche di significato simbolico le porte sulla facciata: la porta centrale, non aveva molta rilevanza, invece la porta di destra era la “porta dell’accoglienza” (nelle Pievi originarie era più alta di quella di sinistra), era la prima porta da varcare per chiedere il Battesimo. Il Sacramento era amministrato, presso il Fonte Battesimale ubicato nel battistero; prima di raggiungere quest’ultimo occorreva però entrare in Chiesa per essere illuminati dalla parola di Dio. La porta di sinistra, chiamata “porta del paradiso” era la porta dei funerali, era una porta molto bassa quasi ad indicare malinconia. I morti erano seppelliti davanti alla chiesa rivolti verso la facciata della Pieve. Questa disposizione significava che per il raggiungimento della Luce di Cristo non bastava rivolgersi al cielo ma era necessario operare sulla terra con l’aiuto della Luce ricevuta con il Battesimo.
La giurisdizione della Pieve di Pontenure, man mano, si ampliò fino ad interessare numerose chiese: Santa Maria di Albiano, San Giacomo di Borghetto, San Giorgio di Biganino, Chiavenna Sottana, Fossadello, Monteguccio, Muradello, Roncaglia, Zena. Paderna, invece, ricadeva sotto la giurisdizione di San Giorgio. Per far fronte alle esigenze della popolazione, le Cappelle (chiese) di Pontenure dopo il 1200 ebbero l’autorizzazione a dotarsi di Fonte Battesimale ed i loro Rettori, pur restando subalterni all’Arciprete, non ebbero più l’obbligo della abitazione nella canonica della Pieve. Si mantenne in ogni modo forte il legame tra le chiese del territorio che si manifestava con la partecipazione congiunta alle Liturgie solenni nella Chiesa principale.