tratto da “La Torre” n. 02/2005
Il 27 gennaio alle ore 21 presso la Villa Raggio, monsignor Ponzini ha concluso i propri interventi sulla storia dell’evangelizzazione affrontando il tema dei pellegrinaggi e dell’ospitalità che il popolo piacentino, nel periodo dal VIII al XVI secolo offriva ai pellegrini tramite “ospizi” o “ospedali”. La convinzione che in determinati luoghi, più che altrove, si manifesti la presenza di una divinità, spinse, già in epoche antichissime persone singole o comitive ad intraprendere faticosi viaggi per raggiungere quei luoghi. I pellegrinaggi cristiani furono particolarmente diffusi in Italia dal 700 d.C. per tutto il periodo medioevale ed ebbero, come mete principali Gerusalemme, Roma (tombe degli Apostoli San Pietro e di San Paolo), nonché Santiago di Compostela (con la reliquia dell’apostolo Giacomo).
Piacenza, nodo d’incontro d’importanti vie, fu particolarmente attenta all’evangelizzazione del proprio territorio e protagonista nell’accoglienza dei pellegrini che ivi transitavano. Documenti storici attestano, ad esempio, che nel 570 la Scuola Episcopale di Piacenza inviò un gruppo di studiosi in Terra Santa con l’obiettivo di accertare le caratteristiche spirituali del luogo e di convincere, al proprio ritorno, i concittadini della veridicità delle Sacre Scritture. A parte casi particolari di persone appartenenti a gruppi istituzionali o religiosi, i pellegrini provenivano da varie estrazioni sociali e culturali, ma erano accomunati dall’idea di poter ricevere conferma della propria fede attraverso il contatto di luoghi santi. Il raggiungimento dell’obiettivo avveniva affrontando un viaggio carico di disagi e di pericoli: incontro di malintenzionati, condizioni atmosferiche avverse, malattie, lingue non conosciute eccetera.
La tradizione esigeva che il fedele, prima di intraprendere il pellegrinaggio, assolvesse specifici preparativi: dopo aver sistemato i propri affari, predisposto testamento (morire nel corso di un pellegrinaggio che poteva durare molti mesi era un fatto tutt’altro che raro) e conferito il comando della propria casa ad un familiare, l’aspirante pellegrino trascorreva in preghiera le ore precedenti il viaggio. Egli partecipava alla messa, riceveva la benedizione, generalmente dal Vescovo, e l’investitura di pellegrino. L’abbigliamento era costituito principalmente da una semplice tunica ed era corredato di oggetti necessari per il viaggio: una bisaccia da portarsi appesa alla vita e che conteneva pochi averi, un bastone con il puntale di ferro detto bordone. Alcuni studiosi sostengono che bastone, bisaccia e veste simboleggiavano fede, speranza e carità. Dal 1200 l’investitura fu arricchita con un cappello a larghe tese usato per proteggersi dal sole o dalla pioggia.
La tradizione esigeva che il fedele, prima di intraprendere il pellegrinaggio, assolvesse specifici preparativi: dopo aver sistemato i propri affari, predisposto testamento (morire nel corso di un pellegrinaggio che poteva durare molti mesi era un fatto tutt’altro che raro) e conferito il comando della propria casa ad un familiare, l’aspirante pellegrino trascorreva in preghiera le ore precedenti il viaggio. Egli partecipava alla messa, riceveva la benedizione, generalmente dal Vescovo, e l’investitura di pellegrino. L’abbigliamento era costituito principalmente da una semplice tunica ed era corredato di oggetti necessari per il viaggio: una bisaccia da portarsi appesa alla vita e che conteneva pochi averi, un bastone con il puntale di ferro detto bordone. Alcuni studiosi sostengono che bastone, bisaccia e veste simboleggiavano fede, speranza e carità. Dal 1200 l’investitura fu arricchita con un cappello a larghe tese usato per proteggersi dal sole o dalla pioggia. Il cristiano di quei tempi aveva il dovere di riconoscere nel pellegrino lo stesso Cristo. Tale motivo fece fiorire, principalmente accanto a monasteri e chiese, strutture completamente gratuite per l’accoglienza dei pellegrini e denominate “ospizi” o “hospitali” vale a dire ospedali.
La Tavola Peutingeriana o Tabula Peutingeriana è una copia del XII-XIII secolo di un’antica carta romana che mostra le vie militari dell’Impero romano. Al centro la città di Roma.
Monsignor Ponzini ha fatto presente che il termine “ospedale”, in accordo con l’accezione di quei tempi, è utilizzato in questo contesto, con lo stesso significato di “ospizio” o “ricovero” inteso come luogo di sosta temporanea per pellegrini. L’accoglienza in tali strutture era completamente gratuita a differenza delle statio romane in cui il soggiorno era invece oneroso per gli utenti. Dal 744 al 1582 sul territorio piacentino furono presenti ben 80 ospizi.
La vitalità della Chiesa e dei parrocchiani di Pontenure, nonché la posizione strategica del paese sulla Via Emilia, fecero sorgere nel secolo VIII nei pressi della via stessa (venendo da Piacenza, a destra prima della Piazza) un ospedale che divenne importante struttura del territorio pievano e che fino al 1400 offrì accoglienza ai pellegrini.
L’Ospedale plebano di Pontenure, presumibilmente era costituito da una stanza a pian ter- reno che fungeva da cucina e mensa e da due dormitori, separati per sesso, al piano superiore raggiungibili con una scala a pioli. Il vitto era ovviamente povero: zuppa di cereali, pane secco. Il pellegrino si soffermava il tempo strettamente necessario per rifocillarsi e riposarsi un poco e quindi riprendeva il proprio cammino.
I corsi d’acqua, specialmente in avverse condizioni atmosferiche, potevano essere un ostacolo rilevante per i viaggiatori dell’epoca. In proposito monsignor Ponzini ha ricordato che vicino ai ponti vi era, in genere, una casa a guardia del ponte stesso in cui religiosi garantivano ai pellegrini e viandanti il superamento del torrente (per esempio mediante trasporto in barca) anche quando non era possibile il passaggio sul ponte. Un tale ospizio nel secolo XII, era presente sul Ponte del Nure ma territorialmente dipendeva dall’Ospedale di San Pietro del Montale (quest’ultimo sorgeva nell’anno 1032 dove attualmente vi è la chiesetta sulla Via Emilia).
Il relatore ha inoltre ricordato altri numerosi luoghi di accoglienza che sorgevano sul territorio piacentino e che insistevano principalmente sulla Via Francigena, itinerario che congiungeva l’Europa centro occidentale (regno dei Franchi) con Roma, entrando in Italia dal passo del Gran San Bernardo e toccando, tra l’altro anche Pavia, Piacenza, Parma, Fornovo, Pontremoli, Siena e giù fino alla Città Eterna. Tra le varie curiosità è emerso che Piacenza, come altre città, nel XII secolo aveva anche ospedali particolari: ad Est della città vi era una struttura dedicata a San Lazzaro in cui trovavano accoglienza i lebbrosi, ad Ovest invece sorgeva una struttura dedicata a Sant’Antonio in cui venivano accolte le vittime del “fuoco di San Antonio” (così era ed è popolarmente conosciuta una malattia virale – herpes zoster- che si manifesta attraverso una dolorosa eruzione cutanea).
Monsignor Ponzini ha concluso la serata formulando ai presenti l’augurio di continuare a cercare, scoprire e non dimenticare le origini del nostro territorio anche se tale attività esige tempi che paiono incompatibili con i ritmi e le abitudini della vita attuale. La conoscenza del passato, infatti, fa comprendere meglio la nostra identità ed è strumento di aiuto per affrontare il futuro.