La cappella e l’altare di San Rocco, il santo pellegrino

Presso la navata laterale destra della nostra chiesa, in corrispondenza della seconda campata, si apre la cappella votiva dedicata a San Rocco di Montpellier, considerato fin dal Medioevo il patrono dei pellegrini e invocato da intere generazioni di cristiani come protettore dal terribile flagello della peste. Nel XVII secolo anche il nostro paese, come si può leggere in questo nostro articolo, fu spopolato dalla terribile epidemia di peste narrata dal Manzoni nei Promessi Sposi: durante il periodo compreso tra il 22 luglio e il 20 dicembre 1630 a Pontenure morirono per il contagio dovuto al morbo ben 478 persone, su una popolazione che non superava a quei tempi il migliaio di abitanti.

Una nuova cappella. – Il 7 agosto di quel medesimo anno, pochi giorni dopo i primi decessi dovuti alla peste registrati nel nostro paese, l’arciprete Americo Passori insieme ai nobili signori Teodosio Bracciforti e Giacomo Siliani concludeva un accordo con il mastro muratore Francesco Losi per la «fattura della cappella da intitolarsi al glorioso S.to Roco», al prezzo di quaranta scudi in moneta di Piacenza, forse allo scopo di impetrare dal famoso santo taumaturgo la protezione divina dal pestifero morbo. Come si apprende dall’annotazione presente sul registro denominato Libro delle entrate dell’Arcipretura di Pontenure, la suddetta somma comprendeva anche la realizzazione di una cupola, termine con cui probabilmente deve intendersi la volta della cappella, e la sistemazione delle due colonne «poste avanti detta cappella».

Un antico dipinto oggi scomparso. – Quello stesso giorno, apprendiamo sempre dal medesimo registro, l’arciprete Passori e i due committenti laici citati in precedenza incaricavano inoltre il pittore piacentino Raimondo Conesi (o Canesi), non altrimenti noto, di realizzare un’ancona (ossia una pala d’altare) e di dipingervi sopra «uno San Roco che col segno della croce guarisce un cardinale che giace a letto». La tela, le cui dimensioni dovevano essere pari a quattro braccia di larghezza e sei di altezza (un braccio di Parma era pari a 54 cm), regolarmente pagata nel 1630, dovette soddisfare pienamente i committenti, che pagarono all’artista la somma convenuta, pari a trenta scudi in moneta di Piacenza. Questo dipinto restò conservato presso la nostra chiesa fino agli ultimi anni del Settecento, quando si persero le sue tracce in seguito all’arrivo nel Ducato delle truppe francesi guidate da Napoleone Bonaparte.

Molto probabilmente anche questo quadro, al pari di altri antichi dipinti non più presenti nella nostra chiesa e spariti proprio in quel periodo, finì col subire la medesima sorte di tante altre opere d’arte predate in Italia dall’esercito francese o dai funzionari napoleonici, prendendo probabilmente la via della Francia come tante altre opere assai più celebri. In occasione dell’armistizio del 9 maggio 1796, ricorda infatti lo storico Francesco Giarelli, venne imposto al Ducato di Parma e Piacenza la consegna di ben venti quadri, poi ridotti a sedici, identificati da commissari francesi. A Piacenza, in esecuzione di quanto richiesto, vennero per esempio scelte due tele conservate in Cattedrale, realizzate da Ludovico Carracci tra il 1605 e 1609, che vennero esposte al Louvre per essere poi restituite nel 1816. Nel 1803, per ordine del ministro Moreau de Saint Mery, furono invece tolti dagli appartamenti del Palazzo Farnese gli intagli, gli stucchi e gli ornati e altri quadri furono requisiti da numerose chiese cittadine.

L’altare dei Santi Rocco e Francesco. – Negli anni successivi al 1630, a quanto risulta, si aggiunse per l’altare di San Rocco la dedicazione a San Francesco, come si può riscontrare dalla relazione stesa in occasione della visita pastorale il 29 maggio 1656 compiuta dal vescovo di Piacenza Giuseppe Zandemaria. Fin dal 1619 nella nostra chiesa, come si vedrà in un prossimo articolo che sarà dedicato ai numerosi altari un tempo presenti in chiesa ed oggi scomparsi, era infatti presente un altare dedicato a San Francesco, presso il quale vi era una sepoltura, in cui venivano solitamente deposte le donne. Non sappiamo indicare con esattezza a quale santo dal nome Francesco fosse dedicato quell’altare, che molto probabilmente in seguito venne demolito, mentre il titolare veniva associato all’altare presente presso la cappella di San Rocco. Potrebbe ovviamente trattarsi del Francesco più famoso, ovvero del fraticello di Assisi, ma siamo piuttosto portati a ritenere che questo santo possa essere piuttosto identificato in San Francesco da Paola, il santo taumaturgo ed eremita fondatore dell’Ordine dei Minimi che secondo la tradizione nel XVI secolo liberò la Francia dalla peste, circostanza che lo accomunava perciò al più noto San Rocco nella venerazione popolare. Anche davanti all’altare dedicato a San Rocco venne ben presto realizzata una sepoltura: nel secondo tomo del Libro dei morti leggiamo infatti che il 14 novembre 1631 veniva sepolto davanti all’altre un certo Matteo Ferrari.

Arredo e antiche tradizioni. – Grazie ad un prezioso inventario, compilato nel 1715 per censire i mobili e le suppellettili di proprietà della Congregazione del Santissimo Sacramento e Santo Rosario della Chiesa di Pontenure, siamo in grado di descrivere con notevole precisione com’era costituito a quei tempi l’arredo dell’altare, allora dedicato soltanto a San Rocco, che comprendeva tra l’altro due angeli di legno intagliati, indorati e dipinti, due vasetti di legno inargentati con fiori dorati, quattro candelieri di legno di noce, una croce di legno con sopra un Crocefisso di legno indorato, una coperta di terlisso turchino, con cuscino di corame indorato, due tovaglie di tela con pizzi all’antica e «un campanello per esercitio di d.to altare» per le funzioni sacre. Dalla relazione stesa in seguito alla visita pastorale del vescovo Pisani del 1776 si apprende che presso l’altare era allora esposto un dipinto (tabula) raffigurante San Rocco, impreziosito da una cornice. Dalla medesima relazione si apprende che in quanto ad arredo e reliquie l’altare era soddisfacente e vi si poteva celebrare la messa.

Presso questo altare infatti, come del resto avveniva per tutti gli altri altari della chiesa, si celebrava infatti la santa messa nel giorno in cui cadeva la festa del santo titolare, grazie ai fondi ottenuti dalle questue effettuate in tutto il territorio della Parrocchia, che servivano per pagare il celebrante, i chierici, l’organista, i cantori e i musici, oltre alla cera e agli addobbi che potevano essere più o meno solenni in base alla disponibilità economica. Nel caso di San Rocco, la sua memoria liturgica (16 agosto) veniva celebrata attraverso una santa messa solenne durante la quale, almeno a partire dalla metà dell’Ottocento anche se l’usanza potrebbe essere ben più antica, veniva benedetto dal sacerdote per poi essere venduto ai fedeli il cosiddetto “pane di San Rocco”. Questa usanza trae probabilmente le sue origini dal famoso episodio che ebbe per protagonista il cane che secondo la tradizione avrebbe sfamato il Santo dopo il suo ritiro nell’eremo di Sarmato. Non sappiamo granché a riguardo di questo particolare pane benedetto, anche se da alcuni registri contabili apprendiamo che per la sua realizzazione veniva impiegato del burro: probabilmente si trattava di panini al latte. Sempre dai registri contabili risalenti all’Ottocento ricordiamo che in occasione delle solennità (Pasqua e Pentecoste) ma anche delle feste della Beata Vergine e dei santi verso i quali era più viva e sentita la devozione popolare (Sant’Antonio da Padova, San Rocco, San Giuseppe) venivano solitamente organizzate lotterie o riffe nelle quali si mettevano in palio fazzoletti, vestiti, cappelli.

Lasciti e legati. – Presso l’altare di San Rocco erano inoltre celebrate le sante messe in suffragio delle anime dei defunti che, tramite dei legati, lasciavano in eredità alla Parrocchia ma anche ai vari altari somme di danaro, terreni, case, gioielli, biancheria ed altri beni, con l’obbligo di far celebrare con regolarità un certo numero di sante messe dopo la loro morte. Risalgono proprio all’epoca immediatamente successiva alla terribile peste del 1631 i principali legati a favore dell’altare di San Rocco: il 4 ottobre 1630 Piacentina Cavalli lasciò un legato di cento lire imperiali a favore della Compagnia del Santissimo Rosario e dell’altare di San Rocco; il 21 ottobre Onorio Coglialegna lasciò a titolo di legato a favore dell’altare di San Rocco una cifra di 600 lire imperiali da pagarsi in due rate nei giorni di Pentecoste e Natale del 1631 per una sola volta, disponendo inoltre un ulteriore legato di 50 lire imperiali a favore dello stesso altare da pagarsi ogni anno in perpetuo, coll’onere di una messa ogni settimana; il 30 novembre Camilla Lumina lasciò metà di una cassa di biancheria a favore della Compagnia del Santo Rosario e l’altra metà a favore dell’altare di San Rocco da erigersi nella Chiesa di Pontenure. Dalla visita pastorale del vescovo Pisani citata in precedenza, si apprende che l’altare aveva come dote per la manutenzione i redditi di una domuncula, ossia una piccola casa. Ancora nel 1864 il Beneficio parrocchiale di Pontenure possedeva nel borgo una casa detta di San Rocco o della Beata Vergine, che in quegli anni era stata concessa in locazione ad un certo Lazzaro Fantini, il quale ogni anno pagava un fitto pari a 47 lire del tempo. Questa casa venne venduta dall’arciprete Gioacchino Cella non molto tempo dopo, al pari di quasi tutte le altre abitazioni civili ancora di proprietà del Beneficio, perché abbisognava di importanti e non più rinviabili riparazioni che avrebbero comportato delle spese che la Fabbriceria non era in grado di sostenere.

Il rifacimento della cappella. – Nell’aprile 1829, durante una seduta del Consiglio dell’Opera parrocchiale, si decideva di rimettere a nuovo le gradinate di fronte alle cappelle di Sant’Antonio da Padova e di San Rocco «essendo del tutto consunte» e di «imbiancare e collorire le tre cappelle del Santo Rosario, S. Rocco e S. Antonio non essendo tutt’ora troppo decenti e pulite», il tutto in previsione della visita pastorale di monsignor Scribani Rossi. I lavori effettuati dovettero soddisfare il vescovo perché nel verbale steso in occasione della visita trovò l’altare essere del tutto adeguato per quanto riguarda i gradini, la mensa e il necessario arredo. Nel 1877 questa prima cappella venne demolita, al pari della corrispondente cappella dedicata a Sant’Antonio da Padova che si affacciava sulla navata laterale di sinistra, in occasione dell’ultimo ingrandimento della nostra chiesa intrapreso dall’arciprete Cella, resosi necessario a causa del notevole aumento dei fedeli, immediata conseguenza della crescita demografica registrata nel nostro paese in quegli anni. Così monsignor Cella descrive in un suo censuale – tuttora conservato presso l’Archivio parrocchiale – questi lavori di ampliamento che portarono la chiesa dalle precedenti tre alle attuali cinque navate: «Essendo angusta la chiesa ed avendo già guadagnato spazio nella cappella di San Giuseppe, pensai di guadagnarne di più portando la chiesa a cinque navate. Vi sono riuscito con molti stenti e fatiche e sacrificandovi anche una parte del rustico della canonica. Le cappelle di San Rocco e di Sant’Antonio erano una vicina al Battistero e una vicina alla torre: dove poi attualmente sono le dette cappelle era o sagrato da una parte o cortile dall’altra. Demolite le due cappelle ho continuato i muri a linea del muro ove sono posti i confessionali, spingendo in fuori le dette cappelle. Per fare questo lavoro si è dovuto abbassare il pavimento e ricostruirlo a nuovo in tutte e due le navate nuove e in parte delle altre».

Dopo la ricostruzione delle due cappelle, che rimasero dedicate agli antichi titolari, a causa di alcune difficoltà economiche non si provvide subito alla realizzazione dei rispettivi altari, che comunque furono ultimati entro il 1878, giusto in tempo per la consacrazione della chiesa compiuta da monsignor Giovanni Battista Scalabrini in occasione della visita pastorale avvenuta il 5 ottobre di quello stesso anno. Durante la visita pastorale del 1877 che precedette tale importante avvenimento, monsignor Scalabrini lasciava la disposizione di ornare con una croce i tabernacoli degli altari di San Rocco e Sant’Antonio.

Il simulacro raffigurante Santa Rita da Cascia che ha trovato collocazione sotto la mensa dell’altare. Fino a qualche anno or sono era racchiuso da una teca di vetro.

La statua del Santo pellegrino. – Nella nicchia con cornice dorata che si apre sulla parete di fondo della cappella è collocata una statua di San Rocco in legno intagliato e dipinto. La scultura, opera di un ignoto autore piacentino, è alta circa 130 cm e risale al 1796, come ricorda l’iscrizione presente sul basamento della stessa insieme alle iniziali dell’autore, la cui firma risulta essere l’acronimo “A.C.P.”. San Rocco è raffigurato con indosso una veste verde dall’interno dorato e una lunga mantella marrone, su cui spiccano le conchiglie del pellegrino; con la mano destra scopre la coscia sinistra, indicando la piaga provocata dalla peste, mentre con la sinistra regge il bastone. Ai suoi piedi è presente un cane, un bassotto, con la pagnotta in bocca. Molto probabilmente la statua venne acquistata a scopo devozionale in seguito alla scomparsa del grande quadro citato in precedenza; la prima testimonianza relativa alla sua presenza nella nostra chiesa risale alla visita pastorale del 1820 compiuta da Scribani Rossi. Già a quell’epoca la scultura risultava alloggiata in una nicchia chiusa da un vetro. Dal verbale della seduta del Consiglio dell’Opera parrocchiale del 20 agosto 1855 si apprende invece che in quell’anno venne raccolta a titolo di offerta per la Beata Vergine e San Rocco una somma pari a lire 230 nuove del tempo. Non essendo stata espressa nessuna particolare intenzione da parte degli offerenti su come utilizzare questa somma, il Consiglio dopo qualche discussione deliberò l’utilizzo di parte del denaro raccolto per abbellire le due cappelle dedicate alla Madonna del Rosario e San Rocco, e l’impiego del rimanente per ridipingere le due statue e far indorare le cornici delle nicchie che le contenevano. La statua del santo trovò una nuova provvisoria collocazione nel secondo dopoguerra in seguito alla chiusura delle nicchie poste nel transetto: questa decisione comportò tra l’altro lo spostamento della statua del Bambino di Praga proprio presso la nicchia posta nella cappella di San Rocco. A sua volta la statua del Santo pellegrino trovava nuova collocazione dove attualmente è posta la statua di San Giuseppe, sostituendo uno dei vecchi confessionali. Solo in occasione dei lavori di ristrutturazione attuati alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso la statua è tornata ad occupare la nicchia dove era alloggiata fino a qualche anno prima, impreziosita di recente da una testa di cherubino dipinta sul muro.

Grazie ad un inventario generale compilato nel 1911 per cura dell’allora arciprete Giuseppe Cardinali apprendiamo che la mensa e i gradini dell’altare di San Rocco erano in muratura e che la predella posta davanti all’altare era fatta di mattoni con una tavola di legno di noce (esistente anche al giorno d’oggi). Accanto al tabernacolo, che era di legno e addobbato in bianco, erano presenti due bracciali in ferro per le lampade. La nicchia entro cui era racchiusa la statua di San Rocco già allora era dotata di vetro ed aveva una cornice dorata. Appeso alle pareti della cappella era poi presente un cuore votivo d’argento. Intorno al 1920 lo stesso monsignor Cardinali provvide al rifacimento in marmo di quasi tutti gli altari presenti in chiesa, incluso quello di San Rocco, il cui aspetto attuale probabilmente risale proprio a quel tempo. Al giorno d’oggi, con l’esclusione dell’antico altare maggiore, tuttora presente in fondo al presbiterio, quest’altare è l’unico dei sei presenti in chiesa all’inizio del Novecento a conservare ancora la mensa e il tabernacolo. Elevato da una predella di marmo rispetto al piano dell’aula, l’altare sembra essere il frutto di un assemblaggio fra parti di diversa origine: il dossale in particolare potrebbe essere stato originariamente una mostra di camino. L’altare presenta una mensola liscia di marmo nero sorretta da quattro colonnine di marmo bianco con capitelli fogliati. Il dossale è sagomato in marmo rosso con profilo smerlato, mentre il tabernacolo scolpito in marmo rosa presenta delle colonnine di marmo nero e un timpano ad arco che reca scolpita una conchiglia, attributo iconografico del Santo pellegrino. La porticina del tabernacolo in metallo indorato reca l’iscrizione “I.H.S.” sormontata da una croce stilizzata.

Il simulacro raffigurante Santa Rita da Cascia che ha trovato collocazione sotto la mensa dell’altare. Fino a qualche anno or sono era racchiuso da una teca di vetro.

Il simulacro di Santa Rita da Cascia. – Al presente lo spazio sotto la mensa dell’altare ospita il simulacro di Santa Rita da Cascia, una santa assai cara alla memoria e alla devozione dei fedeli pontenuresi che il 22 maggio di ogni anno partecipano numerosi alle celebrazioni eucaristiche in suo onore che si concludono con la benedizione delle rose e dei mezzi di trasporto. Originariamente posta presso la corrispondente cappella di sinistra dedicata a Sant’Antonio da Padova, la statua della Santa “dei casi impossibili” venne acquistata intorno agli anni Trenta del secolo scorso e spostata nella posizione attuale in seguito ai lavori di sistemazione che interessarono la Chiesa alla fine degli Ottanta del secolo scorso. La scultura, in legno intagliato e dipinto, rappresenta Santa Rita morente, in veste monacale, mentre giace distesa su un lenzuolo bianco e stringe tra le mani un crocifisso. Fino a qualche decennio fa, come si apprende da un registro delle Associazioni femminili della Parrocchia risalente agli anni Trenta del secolo scorso, lo spazio sotto la mensa dell’altare ospitava un’altra scultura. Il 30 settembre 1929 una signora del paese, che volle restare anonima, acquistò infatti a sue spese la statua raffigurante Santa Teresa del Gesù Bambino morente per donarla alla Parrocchia. Il simulacro venne collocato in un’apposita urna di vetro posta proprio sotto la mensa dell’altare di San Rocco. Nella medesima occasione la signora Maria Pinoia Parenti provvide a donare l’impianto di illuminazione, formato da ben 50 lampadine, che contornavano l’urna contenente la statua. Davanti alla statua furono inoltre collocate altre lampade a forma di rosa che rimanevano sempre accese. Da qualche anno questa statua è conservata presso il primo piano della Torre campanaria.

Attualmente l’altare è sconsacrato essendogli stata levata da qualche tempo la pietra sacra e il tabernacolo viene utilizzato soltanto per la reposizione del Santissimo Sacramento in occasione dei riti del Triduo pasquale. Presso la cappella inoltre, in occasione delle festività natalizie, viene solitamente allestito il grande presepe in stile popolare la cui realizzazione viene curata ogni anno con amore e passione da un piccolo gruppo di parrocchiani. Sulle pareti a fianco dell’altare sono attualmente appesi due quadretti raffiguranti i pontefici Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, entrambi proclamati elevati agli onori degli altari il 27 aprile 2014 da papa Francesco.

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