4 Novembre 1935: il “rancio della Vittoria”
di Redazione Sito · Pubblicato · Aggiornato
4 Novembre 1935: il "rancio della Vittoria"
Questa splendida fotografia d'epoca ritrae il favoloso banchetto, chiamato nel gergo d'allora il "Rancio della Vittoria", che durante il Ventennio riuniva tutti assieme i combattenti del nostro paese che erano tornati dalla Grande Guerra per la celebrazione della solennità del IV Novembre. Proclamato fin dall'immediato dopoguerra festa nazionale, in questo giorno si ricordava soprattutto la Vittoria (la maiuscola non è casuale) contro il secolare nemico, l'Impero asburgico, e la liberazione di Trento e Trieste, le città "irredente" finalmente riunite, a costi di eroismi e sacrifici inenarrabili, dalle armi vittoriose al materno abbraccio della Patria comune.
Ci troviamo a Pontenure, è il 4 novembre dell'anno 1935, quattordicesimo anno dell'era fascista. In Africa orientale da poco più di un mese è iniziata la guerra contro l'Abissinia e le truppe del generale De Bono stanno avanzando in direzione di Macallè, mentre la gran parte delle nazioni del mondo ha adottato dure sanzioni economiche nei confronti dell'Italia, ritenuta colpevole di aver aggredito l'Etiopia. Mentre nella lontana Abissinia si combatte duramente fra ambe e altipiani, nel nostro piccolo borgo si festeggia (e lo si fa in grande stile)! Combattenti e reduci, dopo la celebrazione della santa messa e le consuete cerimonie civili, si sono radunati per il pranzo nel grande salone dell'Albergo Dell'Angelo, dalla caratteristica insegna, di proprietà della famiglia Mezzadri.
Ci sembra quasi di sentire le gagliarde note dei canti, ad accompagnare le vivande non sarà di certo mancata qualche strofa de la Canzone del Piave o di quella del Grappa, il rumore delle stoviglie e dei bicchieri che cozzano tra loro nei brindisi augurali, il vociare confuso di tanta gente in vena di far festa e di ricordare la giovinezza. I convitati, all'incirca duecento, alcuni in camicia nera, altri in borghese, sono disposti lungo quattro file di tavoli ospitati nella sala da pranzo della trattoria. Alcuni hanno appuntato sul bavero della giacca le decorazioni al valore e le medaglie al merito guadagnate nell'aspro conflitto. Tra di loro è presente anche quello che sembra un carabiniere in grande uniforme, probabilmente il comandante della stazione di Pontenure, attiva nel nostro paese fin dal lontano 1859.
Furono in tutto 73 i Pontenuresi Caduti nell'immane conflitto, uccisi in combattimento o deceduti per cause belliche nelle retrovie, dispersi in azione o morti di malattia o di fame nei campi di prigionia austriaci, una goccia nel mare dei 600 mila morti italiani, che ancora oggi meritano il nostro riconoscente ricordo. Sette invece i decorati, di cui uno il capitano marchese Alessandro Casali con Medaglia d'Oro al Valor Militare, due con Medaglia d'Argento al Valore Militare (Pietro Corsi e Silvio Gariboldi), due con Medaglia di Bronzo (Adelmo Pietra e Luigi Prazzoli) e due con la Croce di guerra al Valor Militare (Ernesto Betta e Celso Prazzoli). La gran parte dei caduti apparteneva all'Arma di Fanteria, la "Santa Fanteria", regina delle battaglie.
Tra le tante persone ritratte nella foto spiccano i volti di alcuni reduci più anziani e di altri più giovani, probabilmente appartenenti alla Classe di ferro 1899, distinguibili per l'aspetto ancora fresco e giovanile. Queste giovanissime reclute, appena diciottenni, furono chiamate in anticipo alle armi nel triste autunno del 1917, subito dopo la battaglia di Caporetto, un momento di gravissima crisi militare per l'Italia e per il Regio Esercito, costretto ad abbandonare a causa dell'offensiva austro-tedesca il Veneto e il Friuli e a ristabilire il fronte intorno ai pilastri difensivi del Piave e del Grappa. Proprio sulle sponde del Piave, sulle alture del Grappa e del Montello questi giovani diedero prove meravigliose di sacrificio ed eroismo, permettendo la controffensiva che nell'ottobre 1918, a un anno esatto da Caporetto, portò poi alla vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto e quindi alla firma dell'armistizio di Villa Giusti da parte dell'Austria-Ungheria (4 novembre 1918).
Le portate di questo pranzo memorabile non devono essere state ancora servite, come sembrano lasciar intuire le stoviglie ancora pulite e i bicchieri ancora vuoti, ad ogni buon conto ciascun commensale sembra disporre quantomeno di due panini e di una bottiglia di vino "riservata". Camerieri, in completo bianco, e cameriere, nella classica uniforme, sono comunque pronti e quasi sull'attenti, in attesa di poter finalmente consegnare a tutti e ciascuno il "rancio" dovuto. Sullo sfondo, al centro della tavolata che sembra ospitare i dirigenti del Fascio pontenurese e le autorità comunali, spicca un posto vuoto, forse destinato simbolicamente ai tanti giovani Caduti del conflitto. Su tutto troneggia poi un grande quadro raffigurante re Vittorio Emanuele III, il "duce supremo" che condusse il nostro Paese alla Vittoria, come ricordano le parole del Bollettino n. 1268, davanti al quale sono allineati una decina di elmetti Adrian Mod. 16, utilizzati dalle nostre truppe durante la guerra.
Vittorio Emanuele è passato giustamente alla storia come il Re soldato. Non appena iniziate le ostilità il sovrano infatti affidò il potere allo zio Tommaso di Savoia, duca di Genova, nominato allo scopo luogotenente generale del Regno, e lasciò subito Roma per allestire il suo quartier generale in una villa piuttosto modesta vicino ad Udine, da dove si recava quotidianamente sul fronte per ispezionare i reparti, stilare relazioni che venivano poi inoltrate al generale Luigi Cadorna, visitare i soldati nelle trincee e negli ospedali, condividere le privazioni e i pericoli dei suoi sudditi.
Terminata la Grande Guerra era assai vivo tra la popolazione di Pontenure il desiderio di onorare la memoria dei Caduti: c'era chi proponeva di realizzare un grande monumento sfruttando il muro della chiesa che costeggia la via Emilia (uno schizzo di questo progetto è ancora conservato presso l'Archivio parrocchiale), e vi era invece chi proponeva di realizzare un ospizio per accogliere anziani e inabili. Dopo lunghe discussioni e molte polemiche, si decise infine che non vi era modo migliore di ricordare chi aveva sacrificato la sua giovane vita sulle pietraie del Carso e sulle rive del Piave che dando vita ad un'opera di bene. Nacque così nel 1934 il ricovero, allora ospitato in una grande villa alle porte del paese, circondata da un ampio e ombroso giardino, mentre per onorare i Caduti venne realizzata una lapide coi loro nomi scolpiti a chiare lettere sulla pietra, originariamente collocata sulla facciata del vecchio edificio scolastico, che si trovava allora nella piazza di fronte alla chiesa. Una fiaccola che ancora oggi ricorda i loro nomi alle generazioni presenti e future.
Un doveroso e sincero ringraziamento al signor Alessandro Mezzadri che ha voluto mettere a disposizione di chi scrive questa splendida foto gelosamente conservata nell'album di famiglia.
Luca T.